“Il tasso di mortalità, anche se è sbalorditivo, non fa molta impressione se non è accompagnato da esempi concreti tratti dalla vita. Tutti sappiamo che nel 1941 morirono più di 43.000 persone, ma pochi sanno cosa significhi realmente […] 578 residenti vivevano nella casa di Via Mila 51, 260 persone morirono dall’inizio della guerra. Nell’edificio in via Krochmalna 31 morirono 400 residenti dall’inizio di settembre del 1941, 400 persone, cioè il 100%…Attualmente ci sono 80 orfani nella casa di via Zamenhof 56…”. I dati riportati sono stati copiati da un giornale clandestino stampato nel ghetto di Varsavia ad opera di un movimento giovanile. In questo stretto spazio di controllo, fame e violenza, i movimenti giovanili furono i primi ad organizzarsi alla ricerca di un proprio spazio di espressione. Nacquero scuole clandestine, riunioni per fomentare l’ideologia sionista, seminari per la formazione di nuovi leader: in un mondo dove le scuole del ghetto furono chiuse per ordine tedesco, lasciando migliaia di giovani e ragazzi in balia di un lungo spazio temporale vuoto e improduttivo, l’educazione fu portata avanti dai movimenti giovanili: “La nostra preoccupazione principale era preservare una parvenza di dignità umana e orgoglio ebraico nell’oscurità del degrado che ci circondava. Cercavamo una linea d’azione che ci consentisse di preservare il nostro spirito pionieristico e di trasmetterlo ai giovani” .
Caratteristica di tutti i movimenti giovanili fu la trasformazione dei madrichim in insegnanti clandestini facendo in modo che le stesse scuole clandestine fossero anche luoghi di identificazione con la missione dello stesso movimento. Nella maggior parte dei casi la formazione educativa era impartita in maniera informale, attraverso giochi e riunioni sociali. Nessun movimento giovanile, per ovvie ragioni, aveva un luogo fisso di riunione ed il filo dell’esistenza delle riunioni fu meticolosamente registrato e consegnato alla memoria dal movimento Oneg Shabat, i cui membri registravano gli eventi nel ghetto e seppellivano i loro diari nei bidoni del latte. Negli ultimi mesi dell’esistenza del ghetto, dal 1942 al 1943, la resistenza silenziosa dei gruppi giovanili assunse un’altra missione: i movimenti giovanili divennero la forza della resistenza armata. Una resistenza che nacque in un contesto di profonde differenze ideologiche: i movimenti giovanili erano infatti divisi tra l’Hashomer Ha-Tsair, movimento sionista e socialista radicale; il movimento Dror, anch’esso sionista e socialista, ma socialmente indirizzato a classi più povere. Il Gordonia, invece, esprimeva una visione socialista e sionista più moderata, mentre il movimento giovanile Ha-No’ar ha-Tsiyyoni ed il Benè Akiva incoraggiavano un’identità sionista e religiosa. I movimenti giovanili si raggrupparono sotto la bandiera della Organizzazione Combattente Ebraica (ZOB) guidata da Mordechai Anielewicz, che apparteneva al movimento dell’Hashomer HaTsair, Marek Edelman, del partito socialista ebraico Bund, ed Itzjak Tzockerman, del Dror. L’assenza di una visione politica e ideologica comune fu un ostacolo alla creazione di un unico fronte ebraico, ma l’impatto drammatico con l’inizio delle deportazioni verso il campo di sterminio di Treblinka nel luglio del 1942 impose ai differenti gruppi la necessità di unirsi. Nello stesso luglio del 1942 i rappresentanti dei diversi gruppi giovanili crearono il ZOB e si misero in contatto con la resistenza polacca per ottenere appoggio logistico ed armi. Si racconta infatti che alla prima riunione dello ZOB, in una stanza con più di 20 persone, era presente una sola pistola. In realtà, l’organizzazione giovanile più militarizzata e con più contatti con la resistenza armata era la ZZW, capeggiata da Pawel Frenkel, appartenente al movimento sionista revisionista. Il superamento delle differenze di opinioni e delle distanze ideologiche divenne una realtà ebraica di estremo valore quando alle 6 del mattino del 19 aprile del 1943 i soldati tedeschi, con i loro collaboratori ucraini e lettoni, furono accolti al loro ingresso nel ghetto da bombe a mano e molotov. I combattenti del ŻOB li stavano aspettando all’incrocio tra le strade Nalewki e Gęsia, mentre i membri di ŻZW erano trincerati in piazza Muranowski. Marek Edelman, uno dei sopravvissuti, commentò anni dopo: “L’obiettivo della rivolta era morire con dignità, combattendo. Non vincere la battaglia. Tutti ci siamo resi conto che non avevamo alcuna possibilità di vincere”. Dal 19 aprile 1943 al 16 maggio 1943, i movimenti giovanili ebraici, che divennero luoghi di insegnamento clandestino per poi trasformarsi in organizzazioni militari erano diventati lo strumento della difesa della dignità del popolo ebraico polacco. Tutti gli abitanti del ghetto parteciparono alla ribellione, nascondendosi in bunker, cantine e solai precedentemente preparati: è stata la prima ribellione popolare portata avanti in un contesto urbano nell’Europa occupata dai nazisti. La rivolta del ghetto di Varsavia è servita da esempio per altri ghetti e campi ed è l’emblema della formazione di una identità ebraica che all’interno dei differenti movimenti giovanili ha trovato un percorso straordinario di esistenza e resistenza.