Natura, solitudine, emozioni e un tocco di realismo magico sono gli ingredienti che Tamar Weiss Gabbay – una delle più originali e interessanti voci del panorama letterario israeliano – mixa magistralmente nel suo libro ‘La Meteorologa’ (Ed Giuntina. Traduzione di Silvia Pin). Una scrittura affascinante da cui trabocca una poesia profonda che rievoca con candore le pagine di Amos Oz e di Italo Calvino. ‘La Meteorologa’ si divide in tre capitoli, da leggere anche come tre storie distinte, che danno vita a loro volta a tre personaggi diversi: la meteorologa da cui appunto prende il titolo il romanzo, la nipote e suo padre. In questo spazio letterario, che diventa quasi un microcosmo, l’autrice riesce a mettere al centro i tre personaggi, portando il lettore ad una profonda riflessione sul senso di solitudine e di inquietudine interiore, cui la natura, ineffabile e affascinante, fa eco. ‘La Meteorologa’ è un romanzo breve, ma dotato di un’intensità che riesce ad entrare dentro senza uscire più, in maniera quasi primordiale.
Shalom ha intervistato l’autrice in occasione della presentazione del suo libro, che ha avuto luogo a Roma presso la cornice della Biblioteca di Villa Leopardi.
Questo romanzo è davvero originale, da cosa è nata l’idea di scrivere questo libro?
Ci sono molte risposte da dare a questa domanda. Forse non c’è solo un motivo per cui ho scritto questo libro. Penso che nella vita di tutti giorni uno scrittore finisca per imbattersi, quasi involontariamente, in molto spunti di riflessione per le storie da creare e scrivere. Da scrittrice, accade spesso che alcune idee mi colpiscano improvvisamente, rimanendo dentro di me e anche se la vita intorno va avanti, queste storie restano in superficie. Il risultato è che finisco spesso per continuare a pensarci. Si può dire che questo nasca proprio da una di queste idee. A Gerusalemme, il luogo da cui provengo, c’è un famoso meteorologo. Lui ormai è molto amato dalla popolazione israeliana. La gente crede molto in lui ed ha un certo seguito. Mi ha molto affascinato la relazione che le persone hanno con questo personaggio, l’ho trovato davvero curioso.
Ogni anno è ormai consuetudine aspettare con speranza la neve a Gerusalemme, è l’evento più atteso dell’anno da grandi e piccini. Tutti attendono con ansia che il meteorologo dia notizia di questa tanto agognata nevicata. Sembra che dipenda da lui o che lui possa controllare o cambiare la natura. Infatti, se alla fine non nevica, l’impressione è che le persone si sentano deluse da lui personalmente. Mi ha fatto pensare molto tutto questo: queste emozioni, queste sensazioni nei confronti di una persona che non decide le sorti della natura, ma semplicemente fa da messaggero. Ho dunque iniziato a fantasticare molto su questi personaggi e su questa vicenda. Così sono giunta ad una riflessione profonda sulla relazione che abbiamo con la natura, su come noi umani siamo parte di questa, e specialmente sul fatto che un meteorologo è in un certo senso un “profeta della natura”. Così è nata l’idea di scrivere una storia che avesse come tema centrale proprio una meteorologa.
La natura in questo libro ha un ruolo centrale, sembra quasi che noi umani la possiamo controllare ma al contempo ne siamo vittime. Che idea hai tu della natura?
Io penso che la maggior parte delle volte noi dimentichiamo, o forse vogliamo dimenticare, che siamo sempre parte della natura. Noi cerchiamo spesso di evitarla o persino ergerci al di sopra delle regole della natura. Pensiamo ad Israele, un luogo che ha sempre avuto un legame molto forte con la natura dal momento della sua fondazione. Dal principio del sionismo quando gli ebrei arrivarono in Israele il rapporto è sempre stato profondo e conflittuale allo stesso tempo. Penso che a questo punto della storia dovremmo ripensare completamente al nostro rapporto con la natura, cercando di tornare ad un approccio più umile che ci aiuti a comprendere che stiamo dividendo il mondo con altre creature.
La letteratura israeliana è stata sorta di ambasciatrice di pace negli ultimi anni. In un momento così complicato per Israele e per gli ebrei in generale, secondo te, la letteratura ha una responsabilità nei confronti del mondo esterno?
Non penso che gli scrittori abbiano un compito o che siano obbligati a portare un messaggio. Per me, uno scrittore deve dedicarsi completamente alla propria storia. Io non mi sento di rappresentare tutta Israele con la mia scrittura, mi piace più l’idea di rappresentare tutte le persone che soffrono. Conosco molte persone i cui cari sono stati rapiti il 7 ottobre, e non riesco neppure a pensare a ciò che sta accadendo in questi mesi, la situazione è davvero molto triste. Quello che per me è davvero importante è comunicare, attraverso la mia scrittura, che al di là di ogni differenza noi condividiamo tutti lo stesso pianeta. Il nostro compito maggiore è trovare il modo di convivere in maniera corretta col prossimo. In questo libro volevo affrontare la tematica della solitudine, tentando di rendere, in un certo senso chi legge, meno solo.