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    Elie Wiesel, Maestro del pensiero ebraico e della memoria attiva

    A cinque anni dalla scomparsa di Elie Wiesel, pubblichiamo di seguito un contributo del Rabbino Roberto Della Rocca, Direttore Area Formazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

     

    Il Baal Shem Tov e la memoria attiva

    Quando nel 1986 Elie Wiesel fece il suo discorso in occasione del conferimento del premio Nobel per la pace citò un racconto chassidico. Il Baal Shem Tov, vedendo le sofferenze del popolo ebraico si adoperò per affrettare la venuta del Messia.Dio lo punì per questa ingerenza nella Sua regia della storia e lo esiliò in un luogo lontano con il suo assistente. Il Baal Shem Tov si rese conto di non ricordare più né le preghiere, né le segrete meditazioni che avrebbero potuto aiutarlo a far ritorno a casa. Ma il suo assistente si ricordava l’alfabeto e cominciò a recitarlo così che il Baal Shem Tov  poté ripeterlo con lui ad alta voce. E’ così che il Baal Shem Tov si riappropriò della memoria e gli fu possibile così tornare a casa.

    La memoria così, come esperienza, nasce sempre da un esilio che paradossalmente ne costituisce la linfa vitale e la direzione dell’azione umana presente e futura. Un gioco di trasformazione e continuo rinnovamento che mantiene con il passato sempre un legame attivo, che non è mai passivo, e che necessita sempre di un esilio. Viceversa è anche la memoria a nutrire l’esilio, a coltivarlo, a mantenere vivo il senso di appartenenza sradicata, la nostalgia dell’altrove e l’ansia del ritorno.

     

    Il crimine dell’indifferenza

    In “Giobbe o Dio nella tempesta”, Elie Wiesel scrive una frase che induce alla riflessione, e che si colloca in questa prospettiva etica: “Mai — spero — mai potrò accettare l’altrui morte. Forse, alla fine dei miei giorni, sarò pronto a giustificare la mia… ma la morte degli altri, no, mai…….L’indifferenza è un crimine. Non far nulla significa lasciar fare la morte” . Non scegliere è una scelta anch’essa. Tra la memoria e l’avvenire, contro l’oblio ma anche contro una pericolosa proliferazione della parola, Elie Wiesel si pone innanzi tutto come un Testimone. Già la Shoah è diventata per molti un chiaro fastidio, un impedimento alla pacificazione generale, una annotazione logora da chiudere nell’archivio della storia, magari dopo la debita edulcorazione dei testi scolastici. Elie Wiesel come Primo Levi hanno espresso entrambi il timore che, con il tempo, la gente smetterà di crederci. Già ora vi è chi non ci crede. Impresa difficile quella di non dimenticare, magari evitando che la memoria della Shoah diventi una religione del lutto, una “religione del genocidio”. Nella letteratura di Elie Wiesel, memoria, tempo presente e passato, esilio e azione quotidiana si intrecciano caratterizzando un pensiero che, seppure in modo originale e con lo spessore di un intellettuale testimone della Shoah, trova le sue radici all’interno della tradizione ebraica, in maniera ben riconoscibile. E’ questo intreccio da una parte, e questa sovrapposizione tra elaborazione individuale e ancoraggio alla tradizione dall’altra, che rendono Wiesel uno dei più originali interpreti del pensiero ebraico contemporaneo. 

     

    L’identità e la storia ebraica come racconto vivo 

    Nella sua articolata produzione letteraria  Elie Wiesel ci fa vivere il Talmud come un’antologia del subconscio ebraico che guarda alla Bibbia.

    Il fatto è che, come scrive Elie Wiesel nel suo libro “Celebration Biblique”, la storia ebraica si svolge al presente e negando la mitologia, influisce sulla nostra vita e sul nostro ruolo nella società. “….Giove è un simbolo, ma Isaia è una voce, una coscienza. Zeus è morto senza essere vissuto, ma Mosè resta vivo……La lotta di Giacobbe è la nostra stessa lotta e parlare di Mosè significa seguirlo in Egitto e fuori dall’Egitto….Tutti i personaggi biblici si esprimono attraverso ognuno di noi perché essi sono dei degli esseri viventi e non dei simboli, persone e non dei…Tutte le storie riferite dalla Bibbia ci riguardano, non dobbiamo fare altro che rileggerle per constatare la loro attualità sorprendente…Nella storia ebraica tutti gli avvenimenti sono collegati, è raccontandoli al presente, alla luce di certe esperienze di vita e di morte, che si possono comprendere…Le storie che noi raccontiamo non iniziano con la nostra;  si inseriscono nella memoria, che è la tradizione vivente del popolo ebraico….Le storie che noi raccontiamo sono quelle che noi stiamo vivendo….”.

    Compiere questo percorso per Wiesel significa inevitabilmente scegliere la strada del raccontare che nel pensiero ebraico vuol dire, tra l’altro, avvicinarsi anche all’idea di tempo, di redenzione e di libertà. Si è liberi solo se si ricorda e la dimensione del racconto, che è radicata nella memoria, e ciò diventa in tal senso condizione fondante della propria identità. Il racconto da solo non è sufficiente. Credere di cambiare il corso della storia semplicemente narrando fatti spaventosi non è che un’illusione. Resta poi tutto il compito di trasmettere, commentare e far rivivere queste testimonianze per non dimenticare chi si è e da dove si viene. 

     

    Parola e silenzio, il dialogo con Dio

    Nel suo primo libro, “La notte”, che è la testimonianza diretta della deportazione, Elie Wiesel racconta una scena indimenticabile: l’impiccagione, ad Auschwitz, di due adulti e un bambino. Questa testimonianza, di valore assoluto, pone in tutta la sua forza la questione teologica della “eclisse di Dio” che, nel pensiero di Wiesel, non ha niente a che vedere con l’ateismo. In un’intervista, Elie Wiesel dice che per l’ateo non esiste la questione del silenzio o dell’eclisse di Dio ad Auschwitz, cioè durante la Shoah; perché per l’ateo non v’è Dio, l’idea stessa di un Dio è assolutamente inconcepibile. Solo un uomo di fede  può porre la questione del silenzio di Dio, della sua eclissi, della sua morte apparente nei campi della morte. “Se c’è un tempo per pregare, c’è un tempo per porre delle domande a Dio, e un terzo tempo in cui, in assenza di risposte, non resta altro da fare se non intentare un processo a Dio. Tutta la grandezza della tradizione ebraica, tutta la sua forza, non sono forse in grado di intentare all’Eterno un processo per aver lasciato assassinare sei milioni di individui del suo popolo, di cui un milione e mezzo bambini? Quale re permetterebbe che si perpetrasse un simile, incommensurabile delitto? In quale altra tradizione religiosa è possibile immaginare, concepire un processo a Dio? Quando il celebre rabbino lituano Chajim di Volozin scrive: «Allorché Israele non compie la volontà di Dio, indebolisce, se così posso esprimermi, la potenza del Divino: “Tu indebolisci la roccia che ti genera” (Deut., 32, 18)», non abbiamo il diritto di replicare: quando Dio non libera Israele dalle mani dei boia, rompe il Patto, tradisce la Sua promessa, abbandona il Suo popolo: Tu tradisci la parola che ci hai data?” 

    Sulla questione dell’ “eclisse di Dio” durante la Shoah che cosa impariamo di essenziale dalla frequentazione dell’opera di Elie Wiesel? Che le domande: credi in Dio? Dio esiste o no? Non sono domande che può fare un ebreo. Sono domande non ebraiche ma semmai di altre tradizioni religiose. Perciò l’esclamazione “Dio è morto” non è dell’ebraismo, per il quale è un non-senso assoluto. 

     

    Lo studio come continuo rinnovamento

    Nella Tradizione ebraica l’importante è adempiere le mitzvòt, i precetti, prima o invece di domandarsi se Dio esiste o non esiste. Secondo Wiesel, l’adesione alla Tradizione religiosa rimane il segno tangibile della volontà di rimanere collegati alla memoria storica. Mentre secondo la concezione di altre tradizioni religiose Dio sconta le colpe degli uomini, nell’ebraismo con un terribile paradosso è come se l’uomo avesse il dovere di riscattare, se così possiamo dire, le colpe commesse da Dio, come il suo abbandono durante la Shoah. La vera protesta è inscindibile dalla fedeltà alla Torah. A Dio possiamo dire tutto, ripete Elie Wiesel, purché questo avvenga all’interno dell’ebraismo. Parola e silenzio, silenzio e ascolto, sono come le due modalità del dialogo. Questo perché, occorre dire o ricordare che all’origine di tutte le risposte di Elie Wiesel, oltre alla sua esperienza personale narrata nel libro “La notte” si erge la Torah, la Bibbia e la tradizione ebraica di cui il Talmud è il capolavoro assoluto. In virtù della sua passione per lo studio, il suo interrogare senza posa i testi, il suo pensiero, la sua intelligenza del cuore, mossi dalla sua propria esperienza, dalla sua prova del Male e dell’Esilio, dell’assurdo, del nulla e della morte, Elie Wiesel è un Maestro che incarna il dovere del Talmid Chakham, che è di insegnare, di studiare, di invitare allo studio il cui rapporto con la Parola di Dio, il Devar sia che si tratti della Bibbia ebraica o del Talmud, esprime un’attualità che non invecchia poiché si rinnova continuamente.  L’intera sua opera s’informa così al duplice mistero del silenzio di Dio e del silenzio dell’uomo, e i due misteri si fondono in quello del confronto tra Dio e l’uomo. La teologia non è ebraica, ogni ebreo può far sua la parola di Franz Rosenzweig: “di Dio non sappiamo niente…”. E il motivo per cui l’ebreo preferisce parlare a Dio, piuttosto che di Dio.  L’intera opera di Elie Wiesel si rivolge a Dio, più che parlare di Dio.  Nella sua opera ha messo le basi di una riflessione e di una protesta teologica, come mai sono esistite prima. Contrariamente all’ateismo, questa suprema protesta conferisce alla fede la sua espressione tragica ma irriducibile. In molte sue lezioni emerge quella dialettica traumatica con Dio espressa in un mirabile detto chassidico che l’ebreo può stare con Dio, in Dio e perfino contro Dio, ma mai senza Dio.

    “Mi sheeno beester panim enò mehem”, chiunque non faccia parte  della dimensione del nascondimento di Dio, non fa parte del popolo ebraico  (Talmud Chagigah 5a )a . In questo senso appare evidente che Elie Wiesel è tutt’altro che uno specialista della Shoah. Sicuramente è un Maestro della Memoria, nella misura in cui è un Maestro tout court, i cui libri sono un messaggio di vita, una lotta per la vita.

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