Negli anni ’70 nel cinema, soprattutto americano, si era creato un filone di pellicole politiche, profondamente democratiche, sotto le spoglie di thriller. Ne fanno fede film come “Perché un assassinio” di Alan J. Pakula, regista che non cito a caso, perché di origini ebraiche. Su quel filone si rifà l’israeliano Guy Nattiv, già autore di “Golda” e vincitore di un Premio Oscar per il suo corto “Skin”. Si rifà in questo suo “Tatami”, di cui firma la regia insieme all’iraniana Zar Amir Ebrahimi, neo regista e attrice vincitrice della Palma d’Oro per “Holy Spider”, aggiornando le tematiche alle problematiche di oggi in un film muscolare, pieno di umanità e ideali che devono e non possono essere traditi.
Leila è una judoka iraniana allenata da Maryam, con il sogno di vincere la medaglia d’oro ai Campionati Mondiali di Judo. Tuttavia, la Repubblica Islamica dell’Iran ordina a Leila di fingere di aver subito un infortunio e di ritirarsi dalla gara contro un’atleta israeliana.
“Tatami” è il luogo dove si incontrano per la prima volta un regista israeliano e una regista iraniana: “Abbiamo unito le forze per raccontare la storia di atlete coraggiose” dicono gli autori. È stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, vincendo il premio Brian, e adesso arriva nelle sale dal 4 aprile.
Imbevuto in un bel bianco e nero, di Todd Martin, tanto definito quanto contrastato, che riesce da solo ad aumentare l’intensità di “Tatami” , sottolineando una dimensione claustrofobica, che denota sia il senso di oppressione fisico ed emotivo che il bieco vicolo cieco della diplomazia. Ossia il suo fallimento.
Nattiv e Zar Amir Ebrahimi, i registi, riescono a far dialogare in modo straordinario una tensione tesa come una gomena da una parte legata alla competizione nel mondo dello sport, magnificamente filmata in maniera distaccata con una suspence da thriller per arrivare alle già citate questioni politiche e quelle di giustizia sociale.
Infatti utilizzano un doppio binario narrativo senza rinunciare agli elementi più spettacolari classici dei film sportivi come il desiderio di vittoria, l’ambizione di imporsi, la conquista, per la prima volta di una medaglia – le riprese in azione dono bellissime, con la protagonista generosa e furente; per passare piano piano verso lo sguardo dell’allenatrice fiera sì, ma dominata sempre di più da un conflitto interiore creato ad hoc, grazie ai ricatti (minacciano la vita della sua famiglia) arrivando cosi all’atto d’accusa contro le infiltrazioni del potere nelle vite dei cittadini e le imposizioni del regime.
“Tatami” dimostra una capacità unica nel mescolare i generi: passa senza soluzione di continuità dal thriller politico, al film di denuncia e persino film femminista senza diventare mai didascalico. Un film che dimostra la forza e la resistenza di molte donne, di quelle donne che in tanti regimi totalitari e teocratici sono considerate meno di nulla. E su questo punto a pellicola è forte ed incisiva, e vuole dare voce a molti che come Leila sfidano l’autorità del proprio paese per salvare la propria libertà, la propria dignità, la libera scelta.
Ma la mancanza di libertà non può rimare impunita per sempre.
Magnifiche le due interpreti principali: L’atleta è Arienne Mandi mentre la sua coach è interpretata dalla co-regista Zar Amir Ebrahimi.