Romain Gary: uno scrittore dai mille volti, capace di nascondere la sua identità, reinventandosi. Un demiurgo che è stato anche Emile Ajar o Roman Kacev. Uomo senza patria la cui esistenza si è dipanata tra Kiev, Mosca e Samarcanda. Ed è proprio in questo romanzo, “La vita davanti a sé” (Neri Pozza), che ha ispirato anche un film prodotto da Netflix ed interpretato da un’immensa Sophia Loren, che Gary si mette a nudo raccontandosi attraverso il personaggio di Momo, un bimbo orfano e intelligente. Un rapporto complesso e quasi inesistente con suo padre, e una relazione quasi morbosa con la madre, a cui da voce in questo romanzo caratterizzato da una tenerezza disarmante. Così Madame Rose, la vecchia ex-prostituta ebrea che alleva Momo, diventa il volto della maternità universale, che ama senza chiedere nulla in cambio.
Un racconto che proviene direttamente dagli occhi e dalla bocca del protagonista, per questo, caratterizzato da un linguaggio spesso gergale e grezzo, con volute scorrettezze linguistiche che rendono ancora più vera la storia narrata. La storia di un rapporto che si nutre di sincerità e amore incondizionato, contornato da personaggi grotteschi e originali. Gary ci offre una fiaba disincantata che entra dentro la pelle e fa commuovere.