Scomporre, ruotare e scavare. In queste tre azioni si può riassume il monumento di Corrado Cagli (1910-1976) a Gottinga, una cittadina tedesca della Bassa Sassonia. Una sfida tecnica che obbligava Cagli a confrontarsi con la sua esperienza di artista e di ebreo. Quello che fu chiamato a realizzare a Gottinga – tra il 1970 e il 1973 – era una traccia tridimensionale che doveva contrapporsi a un vuoto urbano lasciato dalla distruzione della sinagoga avvenuta tra il 9 e il 10 novembre 1938. In quella notte chiamata “Kristallnacht” (Notte dei cristalli) – che da il titolo all’opera – una incontrollata furia antisemita distrusse sinagoghe, negozi e spezzò la vita di decine di ebrei aprendo a un processo irreversibile in tutti i territori tedeschi. La sinagoga di Gottinga, prima di quella notte, si presentava come un imponente edificio in stile neoromanico frutto di un ampliamento avvenuto alla fine dell’Ottocento che aveva raddoppiato la struttura e l’aveva dotata di un grande organo, pitture alle pareti e un rosone con un Maghen David. La mattina del 10 novembre restava un cumulo di macerie e si provvedeva alla sua demolizione.
Cagli ripartiva da quel Maghen David scomponendolo in due triangoli di tubi metallici che ruotano e si moltiplicano in altezza restringendosi fino a formare una piramide. Una struttura leggera e geometrica, che nella sua forma di partenza riporta a uno dei simboli ebraici più riconoscibili. Apparentemente esplosa e moltiplicata, questa forma può essere ricostruita dal basso dell’incavo su cui è appoggiata: il risultato è uno spazio in cui spostarsi, pensare e incontrarsi.
L’artista si era anche scontrato con il suo vissuto personale prima di restituire alla collettività un’immagine. Infatti, aveva vissuto le leggi razziali che lo avevano portato ai margini del mondo artistico dopo un percorso luminoso nelle esposizioni degli anni Trenta italiane e internazionali. Nel novembre del 1939 era già in America, per arruolarsi nell’esercito, dopo aver lasciato volontariamente l’Italia e una permanenza in Francia.
Sarebbe ritornato in Europa negli anni Quaranta con le truppe americane per liberarla dall’oppressione nazifascista e, forse, per riscattare sé stesso da una presenza giovanile in ambito espositivo di regime. Di quegli anni di guerra ci lasciava i disegni realizzati nel campo di sterminio di Buchenwald alla cui liberazione prese parte con le truppe alleate.
Negli anni Settanta tornava a parlare di memoria e lo faceva abbandonando l’immagine figurativa, ritornando all’archetipo delle forme e del mondo ebraico.