Raccontare l’inferno del lager, seppur doloroso, è necessario. Per tornare a vivere, per affermare il proprio diritto ad esistere ma soprattutto affinché nulla di quello che è stato venga dimenticato. È ciò che ha fatto Liana Millu, sopravvissuta a Birkenau, nelle sue due opere “Il fumo di Birkenau” (Giuntina) e “Tagerbuch” (Giuntina). Nata a Pisa il 21 dicembre 1914, maestra elementare, scrittrice e giornalista, Liana Millu si unisce alla resistenza, ma viene successivamente arrestata e deportata. È proprio nei lager che vede con i suoi occhi il dolore, la morte, la sofferenza. Le sue opere diventeranno le più importanti testimonianze sulla condizione delle donne nei campi di concentramento e sterminio nazisti. Ha dedicato la vita alla memoria della Shoah, a narrare a portare alla luce le atrocità vissute sulla pelle. È il 27 gennaio 2005 quando da un letto dell’ospedale San Martino di Genova l’ultranovantenne Liana Millu manda agli amici dell’ANPI la sua testimonianza: un biglietto, sul quale iscriveva “Mi spiace non essere qui e iniziare nel solito modo. Sono il numero A 5384 di Auschwitz-Birkenau. Le parole sono sempre le stesse, ma oggi risuonano con la forza di milioni di persone che parlare non possono più… Che Dio vi benedica e vi aiuti a non dimenticare mai”. Così le parole, essenziali e senza pietismi, fanno da sfondo al “fumo di Birkenau” il testo in cui la Millu raccoglie sei storie. Sei racconti, sei donne diverse di nazionalità diverse, sei esistenze spezzate accomunate dalla voglia di sopravvivere. Un viaggio attraverso le loro storie, la loro condizione ma soprattutto all’interno del loro io. Notte, giorno, lavoro, attese: una descrizione scientifica e solenne di quello che la detenzione nel campo ha rappresentato per le donne e per la loro femminilità distrutta e negata. “Lei era veramente convinta che tra due mesi tutti noi saremmo stati accolti in un nuovo mondo: un mondo amoroso e pietoso dove tutti quelli che avevano sofferto sotto il fumo di Birkenau sarebbero stati immensamente felici”. Sono schegge che si infilano nella pelle del lettore, e feriscono. Con la prefazione dell’amico Primo Levi, “Il fumo di Birkenau” è un testo difficile, ma che rappresenta una testimonianza a caldo unica.
Poco prima della sua liberazione, durante il transito nei vari campi, Liana Millu trova in una fattoria abbandonata un diario, appunto un Tagerbuch, e una matita. Riempirà quelle pagine in maniera febbrile, per riacquistare dignità ma soprattutto per non dimenticare e raccontare quelle atrocità. Un diario fitto pieno di parole, che vedrà la luce, per volontà dell’autrice, soltanto dopo la sua morte. In questa opera ci si trova davanti una testimonianza straordinaria, unica nel suo genere. Un racconto colmo di dolore e di interrogativi, le cui risposte rimangono sospese nel tempo e nello spazio.