Il Museo Polin di Varsavia ospita fino all’8 gennaio 2024 la mostra ‘Intorno a noi un mare di fuoco’ dedicata alla rivolta del ghetto di Varsavia nei racconti di 12 protagonisti che durante l’insurrezione si nascosero nei bunker e nei rifugi, sfidando le deportazioni e omicidi di massaperpetrati dai nazisti: le parole sono tutto ciò che hanno lasciato.
Barbara Engelking, autrice del concept della mostra, e Zuzanna Schnepf-Kołacz, curatrice della mostra, propongono l’esperienza dei civili come viene descritta nei loro diari o negli appunti presi durante l’insurrezione o la repressione: “abbiamo voluto rievocare la memoria delle quasi 50.000 persone che non appartenevano alle organizzazioni clandestine del ghetto e non combattevano con le armi in pugno. Rimasero nascosti: questo fu il loro atto di resistenza contro la liquidazione del ghetto”.
La mostra propone ai visitatori testimonianze della vita quotidiana nei bunker, delle persone che condividevano i nascondigli. L’esperienza diventa quasi tangibile: ci si immedesima nel calore degli edifici in fiamme, nell’oscurità, nella mancanza di spazio e aria da respirare. L’esposizione è accompagnata da una colonna sonora composto da Paweł Mykietyn, ispirata alla pianista undicenne Josima Feldshuh, morta di polmonite in un nascondiglio sul lato ‘ariano’ il terzo giorno della rivolta.
“Parliamo delle relazioni che si sviluppano tra coloro che si nascondevano, dei loro sentimenti e delle loro emozioni. Da un lato i conflitti, la paura, gli attacchi di panico, la mancanza di speranza e il senso di desolazione, l’abbandono e l’indifferenza del mondo esterno, il senso di una vita perduta. Dall’altro, il bisogno di amore e intimità, il libero arbitrio e l’assunzione di responsabilità per gli altri. La volontà di rimanere in vita, di salvare se stessi e i propri cari, di costruire una comunità i cui membri si sostengano e si proteggano a vicenda è anche un modo per combattere il male”, afferma la curatrice Zuzanna Schnepf-Kołacz.
Di grande impatto emotivo è una serie di fotografie scattate da Zbigniew Leszek Grzywaczewski, che lavorava nei vigili del fuoco di Varsavia durante la rivolta. Le immagini ritraggono il fumo sopra il ghetto, nelle strade e nei cortili all’interno del ghetto, case bruciate, vigili del fuoco che spengono le fiamme, in posa sul tetto di un edificio o per strada mentre stanno mangiando da barattoli.
“Sembra che Leszek Grzywaczewski abbia fatto del suo meglio per registrare queste scene, rendendosi conto dell’importanza di documentare eventi inaccessibili agli occhi delle persone dall’altra parte del muro del ghetto. Sono foto uniche “, afferma Marta Dziewulska, addetto stampa del Museo Polin. Un’altra serie di foto mostra il ghetto in fiamme durante l’insurrezione e i passanti che lo guardano. L’autore delle fotografie si avvicina non solo al muro del ghetto, ma anche alle persone che guardano il ghetto che brucia dietro il muro, si scorgono i loro volti, i loro gesti, le loro espressioni, i dettagli del loro abbigliamento. Viene presentata l’immagine di un mondo che esisteva contemporaneamente alla Shoah al di là del muro del ghetto.
“Queste storie fanno pensare al mondo di oggi – concludono le curatrici – alle persone le cui case sono in fiamme, che sono costrette a fuggire verso l’ignoto in cerca di salvezza per sé e per i loro parenti, persone che si sentono sole, indifese e abbandonate. Persone che stanno ‘annegando’- metafora spesso usata dai protagonisti della mostra – per le quali non c’è soccorso”.
Foto: Micie Jazwiecki