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    1870: Hillel Della Torre contro Dante in lingua ebraica

    Hillel Della Torre Sull’Inferno di Dante fatto ebraico da Saul Formiggini. Padova 28 Marzo 1870. L’autore, docente al Collegio Rabbinico di Padova, dopo aver pesantemente criticato la qualità letteraria della traduzione in ebraico di alcuni brani dell’Inferno fatta dal Formiggini, e l’opportunità di farla, affronta la questione più in generale, sul rapporto di Dante con il Giudaismo.

     

    Dico che un Israelita traducendo Dante in ebraico fa un atto ostile al Giudaismo. La lingua ebraica deesi adoperare a preconizzarlo, a difenderlo, ad illustrarlo, ad insegnarlo, non a fargli onta usandola a propugnare ed esaltare «idee, credenze, aspirazioni, che sono la negazione di quelle che esso insegna ed a cui aspira» (V. Educatore 1870 pag. 56), non per proclamare il cristianesimo una fede

    Ch’è principio alla via di salvazione

    non per dichiarare dannato chi non ebbe battesimo, non per narrarci che gli stessi Patriarchi e altri insigni personaggi della Bibbia stettero parecchi secoli nell’inferno, finché piacque a Gesù di trarneli. E’ egli necessario che queste opinioni si ripetano nella lingua sagrosanta del Sinai?  che la prestiamo a propagare, fra gli altri, il dogma della trinità, in opposizione al nostro di un Dio uno e unico

    Fecemi la divina potestate,

    La somma sapienza e il primo amore?

    Senza dire che l’Inferno e il Paradiso, quali li descrive Dante, contrastano colle idee del Giudaismo, il quale poi non ammette purgatorio. E con qual fronte, se il traduttore prosegue, come ne corre voce, il suo lavoro, farà ebraica la professione di fede di Dante, esaminato da S. Pietro:

    E credo in tre persone, e queste

    Credo una essenza sì una e sì trina

    Che soffera congiunto sono ed este,

    E il canto ultimo che comincia: Vergine madre figlia del tuo figlio, che celebra la congiunzione dell’umanità colla divinità, cioè l’incarnazione, e quel verso in cui il Poeta, colla solita sua mirabile concisione, concentra l’avversione e il disprezzo che sentiva per noi, anche in ciò dividendo i pregiudizi del suo tempo

    Sicchè il Giudeo tra voi di voi non rida?

    Con qual fronte metterà ebraicamente tra i beati il fondatore dell’Inquisizione, da cui tanto patirono i nostri avi?

    “Dante Alighieri” dice il traduttore “fu il poeta dell’umanità tutta. Egli vaticinò” Belle frasi altisonanti ch’io non comprendo e che non provano nulla in favore della strana impresa. Dante, dico io invece, fu anch’egli l’uomo del suo secolo, n’ebbe le passioni e i pregiudizi, mescolò gli errori colle verità, la mitologia con la Bibbia, il sublime collo scurrile, fu implacabile co’ suoi nemici e della prodigiosa potenza del suo verso si valse per perpetuarne l’infamia. Aristotile e S. Tommaso furono i suoi maestri in filosofia e in teologia; non seppe quindi sciogliersi dalle catene della scolastica. E’ l’arte somma che in lui si rivela e fa di lui il più grande poeta che sia mai stato e sarà, che irresistibilmente ci attrae, non le sue dottrine, che convien vagliare. Se “dalla Bibbia ei trasse preziosi concetti” che bisogno abbiam noi d’impararli da lui?

    Confidandomi che a voi e agli amici vostri non dispiaceranno queste osservazioni, attendo sovr’esse il vostro ed il loro giudizio.

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