Ritorna con un’immagine, una frase, e anche in un sogno. L’incubo di un attentato quando lo vivi non ti lascia più e continua ad affacciarsi nella tua vita ogni volta che trova uno spazio, un richiamo, una piccola crepa. Gadiel Gaj Tachè il suo incubo, quello che non finisce dell’attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre ’82, lo ha visto tornare ogni giorno nell’assenza di suo fratello Stefano, ucciso nell’attacco per mano dei terroristi palestinesi a soli due anni, e nelle schegge della bomba che gli esplose accanto e che lo ferì per sempre. Per molti anni Gadiel non ha mai raccontato il dolore privato, la denuncia pubblica ad uno Stato che non ha protetto gli ebrei di Roma quel giorno, ad un’Italia che ha rimosso quella memoria ancora famelica di verità. Non lo ha fatto, anche se quel dolore lo accompagnava forte ma silente in ogni singolo istante della sua vita. Poi Gadiel è arrivato a parlarne, e adesso, dopo un lungo processo di gestazione, ha scelto di scriverne in Il silenzio che urla (Giuntina), un libro importante, scritto come un diario intimo in cui c’è tutto il suo dolore e le tappe della vicenda privata, e come un racconto d’inchiesta che ricostruisce in un linguaggio diretto fatti e rivoli di una storia che ancora oggi resta sospesa. Shalom ha intervistato Gadiel Gaj Tachè.
Gady, era il 2011 quando hai iniziato a parlare dell’attentato e del tuo vissuto. Adesso esce il tuo libro. Come ci sei arrivato? È il quarantesimo anniversario che ti ha spinto a farlo?
Questo libro ha avuto una gestazione molto lunga. In un certo senso è una cosa che mi girava in testa da tanti anni. Nel 2015, pochi giorni dopo gli attentati di Parigi, scattò una molla dentro di me. Mi sentivo in prima linea nella lotta contro il terrorismo. Pensai che era un dovere per me far conoscere la storia del 9 ottobre per far sapere all’opinione pubblica italiana che il nostro paese era stato già colpito in modo molto duro dal terrorismo internazionale.
Capii che non solo era importante che io continuassi a parlare della mia storia, ma era indispensabile che facessi qualcosa che potesse restare. Naturalmente dall’idea iniziale ci è voluto molto tempo e un grande lavoro su me stesso per poterlo realizzare.
Colpisce molto che nel tuo libro dosi le emozioni, quindi il racconto della tragedia, e la spiegazione dei fatti, di ciò che portò al 9 ottobre ’82.
Ho cercato di scrivere questo libro come se fosse un diario. Come se parlassi a me stesso.
Io non sono uno storico. Non sono un ricercatore. E non sono uno scrittore. Quindi misurarmi con tutte le informazioni relative a quel periodo nefasto, fare i conti con le mie emozioni e mettere tutto nero su bianco non è stato facile.
Ma ho fatto del mio meglio per cercare di dosare le emozioni che provavo mentre scrivevo con la razionalità necessaria per ricostruire i fatti in modo più distaccato possibile.
In questi anni ti sei immerso nei documenti, nella storia e in molti suoi rivoli legati all’attentato alla Sinagoga. In questa ricerca di verità hai scoperto molte cose che prima non conoscevi. Puoi condividere con noi un particolare, un documento, un fatto, che ti ha rivelato o confermato aspetti della vicenda?
Tra i documenti che ho avuto modo di visionare presso l’Archivio centrale dello Stato, ci sono molte informazioni che mi hanno particolarmente colpito. Ad esempio ho trovato ben 17 segnalazioni che il SISDE inviò tra giugno e settembre 1982 per avvertire dell’imminente pericolo di attentati contro obiettivi ebraici ed israeliani. In una di queste segnalazioni si elencavano persino i luoghi di ritrovo ebraici che sarebbero stati in pericolo. Tra cui scuole, centri comunitari e templi. Il che mi fece capire che lo Stato italiano non era all’oscuro di un pericolo imminente per una parte consistente dei suoi cittadini.
Inoltre trovai una delle prime dichiarazioni della ex fidanzata di Al Zomar (unico personaggio riconosciuto responsabile dell’attentato e condannato all’ergastolo in contumacia dalla giustizia italiana). La ragazza, subito dopo l’arresto del giovane, dichiarò che il suo fidanzato le avrebbe confessato di essere stato tra i responsabili dell’attacco e che avrebbe ricevuto l’incarico dall’Olp. Questo documento mi ha colpito più di tutti. Avevo sempre saputo che il mandante dell’attentato alla Sinagoga fu Abu Nidal, leader di una fazione Palestinese ritenuta in contrapposizione con l’Olp di Arafat. Scoprire oggi che Al Zomar confessò alla fidanzata di aver ricevuto l’ordine dall’Olp mi fece praticamente saltare dalla sedia.
Mi hai spesso detto che la tua urgenza è quella di consegnare la memoria del 9 ottobre ai ragazzi. Leggendo il tuo libro, ciò che emerge, è che oltre ad aver condiviso e consegnato alla società civile una testimonianza importantissima, che tutti gli italiani dovrebbero leggere per conoscere quella pagina di storia del nostro Paese, hai creato uno strumento di conoscenza per i giovani e gli studenti. È questo che ti ha mosso a scrivere?
Il mio primario obiettivo sono sempre stati i giovani. Loro sono il nostro futuro e dovranno essere loro a portare avanti la memoria. Il sogno della mia famiglia è sempre stato che questa importante pagina di storia fosse studiata nelle scuole, quindi il mio intento era proprio questo. Fornire ai ragazzi uno strumento semplice ed efficace che potesse aiutarli a comprendere e ad approfondire questa vicenda.
In questi 40 anni cosa è cambiato della memoria del 9 ottobre ’82?
Per molti anni la memoria del 9 ottobre è stata un po’ messa da parte. Per troppo tempo, la società italiana, ha considerato questa storia una tragedia di qualcun altro. Come se fosse un evento che aveva riguardato solo gli ebrei.
In questi ultimi anni, specialmente dopo il discorso di insediamento per il suo primo settennato del Presidente Sergio Mattarella, la storia dell’attentato alla Sinagoga di Roma ha avuto una risonanza maggiore nei media e nell’opinione pubblica. C’è ancora molto da fare ma credo che siamo sulla strada giusta.
Continuerai a cercare la verità? E pensi che questa possa portare ad avere giustizia?
Certamente la verità va ricercata sempre. Spero che il mio libro possa riportare questa vicenda all’attenzione della società italiana. Quanto alla giustizia ci credo poco visto che sono passati 40 anni. Anni di domande sospese senza risposta, ad esempio quella sulla mancata vigilanza alla Sinagoga di Roma nel 9 ottobre ’82. Ma se rinunciassimo a cercare la verità e a chiedere giustizia sarebbe una sconfitta per tutti noi e per l’Italia intera.
Mercoledì 21 settembre alle ore 18.00, dalla Sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano della Camera di Commercio di Roma, verrà trasmessa in streaming sulla pagina facebook della Comunità Ebraica di Roma, la presentazione del libro di Gadiel Gaj Tachè “Il silenzio che urla. L’attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982” (ed. Giuntina). Dopo i saluti istituzionali del Presidente della Camera di Commercio di Roma, Lorenzo Tagliavanti, della Presidente della Comunità Ebraica di Roma, Ruth Dureghello e del Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Shmuel Di Segni, interverranno con l’autore Maurizio Caprara, Fiamma Nirenstein, Andrea Riccardi e Walter Veltroni, moderati dal vicepresidente della Comunità Ebraica di Roma Ruben Della Rocca.