Sulla scia del grande successo conseguito in questi mesi, con migliaia di visitatori che hanno ripercorso la storia recente della Comunità Ebraica di Roma attraverso alcune immagini significative, viene prolungata fino a febbraio la mostra fotografica “Centoventi anni di matrimonio al Tempio Maggiore. Famiglia e tradizione degli ebrei di Roma”, curata dal Centro di Cultura Ebraica.
La mostra fotografica, realizzata in occasione delle celebrazioni del centoventesimo anniversario dall’apertura del Tempio Maggiore, ripercorre centoventi anni di storia e tradizione della Comunità Ebraica di Roma attraverso immagini iconiche di lieti eventi celebrati in Sinagoga. La ricostruzione avviene attraverso i pannelli esposti sulla cancellata del Tempio in via Catalana.
Non c’è nucleo familiare che non abbia in casa la classica foto degli sposi con le loro famiglie, scattata subito dopo la celebrazione del rito matrimoniale; tutti sui gradini del Tempio, idealmente abbracciati dalle sue colonne. È un abbraccio simbolico, essenza stessa del calore familiare e dell’appartenenza a una comunità plurimillenaria. Questa collettività da oltre un secolo vede nel Tempio Maggiore il luogo culturale e cultuale per eccellenza, teatro di gioie, tradizioni, amori e continuità.
Le fotografie esposte tracciano un percorso diacronico che si trasforma in testimonianza visiva dei cambiamenti vissuti dalla Comunità Ebraica di Roma, in relazione alle trasformazioni avvenute nel corso dei decenni: momenti di crescita e di speranza ma anche tragedie inenarrabili. Si passa da tempi di forte integrazione nella società romana negli anni dell’Emancipazione, successivi alla breccia di Porta Pia e all’unità d’Italia, ai momenti dolorosi a seguito dell’emanazione delle leggi razziste, alla guerra e alla Shoah. Il fasto e l’eleganza degli anni Liberty e poi degli “anni ruggenti”, dove si esprime il bisogno di approvazione sociale dopo secoli di emarginazione e vessazioni, viene sostituito negli anni Trenta da una moda sobria e austera, dove l’abito nuziale spesso era sprovvisto persino del velo.
Una curiosità rilevata nella mostra è anche la frequenza dell’abito nero per la sposa. Nei primi decenni del Novecento capitava frequentemente che le donne sposassero in dolce attesa, ma ciò non voleva dire che fossero matrimoni “riparatori”. I fidanzamenti infatti, erano vere e proprie promesse di matrimonio che legittimavano tra le famiglie l’unione della coppia.
Gli anni Quaranta si fanno portatori del processo di ricostruzione di una comunità piegata dalle discriminazioni e dalle persecuzioni nazifasciste, dove appare evidente la volontà di rinascita e resilienza, mantenendo intatte le proprie tradizioni e gioendo dei momenti felici, come si evince dalla fotografia del matrimonio tra un soldato americano della Brigata Ebraica, Alan Greifman, e una ebrea romana, Ester Pace. Le nozze furono tra le prime a essere celebrate al Tempio Maggiore alla sua riapertura dopo la liberazione della città da parte delle truppe alleate, il 4 giugno 1944.
La Sinagoga, infatti venne serrata con i sigilli (tutt’oggi visibili) e posta sotto sequestro fino alla sua riaperta, il 9 giugno 1944. Aron Greifman fu tra i 30.000 ebrei arruolati volontariamente nelle varie compagnie ebraiche dell’esercito britannico. Alcuni di loro collaborarono allo sbarco di Anzio e alla liberazione di Roma. Nella Capitale i soldati, tra cui Aron, si prodigarono in aiuto degli ebrei, riaprendo il Tempio Maggiore e le sue scuole, dedicandosi all’insegnamento dell’ebraico e all’organizzazione di attività giovanili. Nella foto salta agli occhi lo sposo in divisa militare, mentre gli abiti degli astanti, funzionali e pratici, erano conformi agli anni del dopoguerra. Le facce liete e i gran sorrisi sono la prova evidente di uno spirito resiliente, grazie al quale gli ebrei riuscirono a risorgere dall’orrore della Shoah. Con lo stesso spirito appaiono le foto dei tre amici sopravvissuti ai campi di sterminio: Romeo Salmonì, Giuseppe Di Porto e Davide Di Veroli, che si sposarono il 30 ottobre 1949 celebrando in seguito le nozze d’argento e poi quelle d’oro sempre insieme, come simbolo della vita che trionfa sulla morte.
Nella lunga carrellata è esposta anche una foto che ritrae uno dei primi matrimoni “misti” tra un ebreo romano, Giovanni Di Veroli, e un’ebrea libica di origine bengasina, Sarah Tito, celebrato nel 1954. Di Veroli all’epoca era all’apice della sua carriera calcistica con la S.S. Lazio, tanto che accorse ai festeggiamenti, tra gli altri, anche il patron del club, Costantino Tessarolo. Tra le fotografie in mostra appare anche Angelo (Gino) Mantin, che sposò Giuliana Nemni nel 1967, punto di riferimento dell’ebraismo libico rappresentando un porto sicuro per le tante famiglie tripoline costrette a scappare durante la Guerra dei sei giorni nel 1967 e posto le basi sulle quali poi sarebbe fiorita la comunità ebraica libica di Roma.
Siamo al boom economico degli anni Sessanta, dove ritornano le celebrazioni in “grande stile”, interrotte dalla tragedia dell’attentato al Tempio del 9 ottobre 1982. Nella fotografia del matrimonio di Vittorio Pavoncello (futuro Presidente del Maccabi Italia) e Marina Calò, compiuto appena un mese dopo l’atto terroristico palestinese, si possono vedere chiaramente i fori dei proiettili sulle colonne e i muri del Tempio, cicatrici indelebili per la memoria collettiva di una comunità che stava ancora elaborando i traumi della Shoah.
La carrellata fotografica prosegue fino ai giorni nostri, scandendo ancora una volta fatti e avvenimenti storici mondiali che hanno cambiato la fisionomia della società contemporanea, oltre che della comunità ebraica. Testimonianza importante di questi decenni è il matrimonio tra il romano Marco Moshe Del Monte e l’israeliana Elinor Hanuca, i primi a sposarsi al Tempio dopo il lockdown nel giugno del 2020.
L’ultimo scatto è quello del matrimonio di Marco Sed, giovane Hazan del Tempio Maggiore, e Martina Terracina, Direttrice del Dipartimento Educativo Ufficio Giovani della Comunità Ebraica di Roma, emblema dell’impegno da parte delle nuove generazioni nel preservare e rinnovare la tradizione ebraica.