Norman Tobias, tributarista per professione e storico delle idee per vocazione, ha scritto un volume sulla storia di Jules Isaac (La coscienza ebraica della Chiesa. Jules Isaac e il concilio Vaticano II, Marietti editore) che, grazie alla sua tenacia, è stato tra coloro che hanno posto il primo seme da cui è germogliato il dialogo ebraico-cristiano, impensabile pochi anni prima dopo quasi due millenni di insegnamento del disprezzo verso gli ebrei.
La Comunità Ebraica di Roma, insieme al Centro Cardinal Bea (Pontificia Università Gregoriana) che da anni collabora con la Comunità nell’istituire corsi di studio su vari aspetti dell’ebraismo, e all’Amicizia Ebraico-Cristiana di Roma, ne ha organizzato, presso il Pitigliani, altro centro ebraico di incontro e confronto, la presentazione a un anno dal sessantesimo della dichiarazione “Nostra Aetate” (28 ottobre 1965), elaborata nel Concilio Vaticano II la cui realizzazione fu proprio a seguito dell’attività di Isaac.
L’importanza del lavoro di Isaac nel spingere la Chiesa a modificare il suo atteggiamento negativo verso gli ebrei, in una prospettiva di giustizia sociale, morale e di assunzione di responsabilità, è stata messa in evidenza durante i saluti effettuati dalla Vicepresidente della Comunità Ebraica di Roma Antonella Di Castro, dal Pro-Direttore del Centro Cardinal Bea Massimo Gargiulo e dalla Presidente dell’Amicizia Ebraica Cristiana di Roma Roberta Ascarelli.
Il Presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia Daniele Garrone ha sottolineato come la Chiesa cristiana abbia dovuto elaborare un’altra immagine dell’ebreo e un rapporto in cui ognuno resta quel che è, accantonando la spinta conversionistica: un processo certamente non semplice e per alcuni versi ancora in corso.
L’intervento dell’autore ha messo in evidenza l’importanza dell’utilizzo sia della documentazione archivistica, sia delle fonti orali in quanto l’incontro tra Isaac e Giovanni XXIII (13 giugno 1960) fu ottenuto anche grazie all’intervento di Maria Vingiani, fatto che Tobias ha riscontrato solo a margine nella documentazione da lui consultata, mentre ben noto a coloro che l’hanno conosciuta.
Tale evento, moderato dalla Responsabile dell’Archivio Storico della Comunità di Roma Silvia Haia Antonucci, ha sollevato numerose riflessioni che hanno riguardato ovviamente anche la situazione del dialogo oggi, che pare non godere di ottima salute. L’ultimo, di una serie di esempi, lo si è avuto poco tempo fa ed è stato citato dal Capo Rabbino di Roma: “Nella lettera che Papa Francesco ha inviato ai cattolici del Medio Oriente in occasione della giornata di preghiera e di digiuno del 7 ottobre, da lui indetta nel primo anniversario dell’attacco terroristico di Hamas a Israele, per invocare il dono della pace, il Papa ha affermato che ‘Preghiera e digiuno sono le armi dell’amore che cambiano la storia, le armi che sconfiggono il nostro unico vero nemico: lo spirito del male che fomenta la guerra, perché è ‘omicida fin da principio’, ‘menzognero e padre della menzogna’ (Gv 8,44)”.
Nel verso completo tali affermazioni sono riferite agli ebrei che sono definiti “voi che avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro”. Tale citazione, ha affermato Rav Di Segni, “è stato uno dei riferimenti più duri per sostenere l’antigiudaismo della Chiesa”, aggiungendo, “stupisce che proprio in una invocazione di pace si debba far uso di una citazione che evoca solo un passato di odio contro gli ebrei”.
Come sostenuto da Antonella Di Castro, “la Pace più volte invocata resta priva di sostanza se non accompagnata dalla richiesta di giustizia. Oggi avremmo bisogno di nuovi Jules Isaac, dell’ascolto attento e umano di molti per lavorare insieme al ‘Tiqqun olam’ “ ovvero la “riparazione” dell’ingiustizia nel mondo.