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    ISRAELE

    Israele colpisce l’Iran con oltre 100 aerei

    L’operazione “Giorni di pentimento”
    Nella notte fra venerdì e sabato l’aviazione israeliana ha compiuto la rappresaglia molto attesa per gli attacchi missilistici subiti dall’Iran oltre tre settimane fa. Ci sono state tre ondate di bombardamenti con un centinaio di aerei fra cui soprattutto F16 e F35, su obiettivi militari distanti più o meno 2000 chilometri da Israele: il doppio dell’autonomia di questi mezzi, che sono stati quindi riforniti in volo. I mezzi militari hanno distrutto le difese antiaeree di Teheran, colpito le sedi della milizia degli ayatollah (le cosiddette guardie rivoluzionarie), distrutto grandi depositi d’armi, gravemente danneggiato fabbriche di missili e di droni. Sono tornati tutti indenni alla base. In particolare, secondo il “New York Times”. è stata colpita la batteria di difesa aerea S-300 (di fabbricazione russa) che proteggeva l’aeroporto internazionale e la città di Teheran; vicino ad essa sono state distrutte diverse basi missilistiche delle guardie rivoluzionarie islamiche. Nella seconda ondata di attacchi, è stata colpita la base segreta di Parchin, alla periferia di Teheran e distrutti i grandi mixer indispensabili alla fabbricazione del combustibile solido per i missili balistici. Sono stati anche eliminati i quattro radar principali della difesa aerea, lasciando l’Iran aperto a nuovi attacchi.

    Quel che Israele non ha colpito
    Pur avendone chiaramente la possibilità, Israele ha scelto di non bombardare gli impianti marittimi, i terminali, le raffinerie di petrolio, con cui avrebbe inflitto un danno rilevantissimo all’economia degli ayatollah, ma avrebbe perturbato altrettanto gravemente il mercato energetico mondiale. E non ha attaccato neppure gli impianti dove si sviluppa il progetto di armamento nucleare dell’Iran, un obiettivo essenziale per Israele che ne sarebbe il primo bersaglio, ma protetto come la rete petrolifera da un veto esplicito di Biden. Né ha colpito i leader dell’Iran come aveva fatto con Hamas e Hezbollah ed era giuridicamente autorizzato a fare per rappresaglia all’attacco alla casa di Netanyahu dei dieci giorni fa.

    Le ragioni di un colpo forte ma limitato
    Questa scelta forte ma limitata è dispiaciuta a molti sostenitori di Israele, dentro e fuori lo stato ebraico ed è stata paradossalmente attaccata dalla stessa opposizione che sostiene a spada tratta un accordo immediato per il cessate il fuoco, per esempio da Yair Lapid. Ma nei giorni scorsi c’erano stati dei messaggi gravi da parte degli Usa, che hanno chiavi essenziali per la sicurezza di Israele, innanzitutto il rifornimento di munizioni e poi il diritto di veto all’Onu. I responsabili americani avevano addirittura dichiarato che in caso di attacco israeliano al petrolio o al nucleare iraniano avrebbero sospeso la collaborazione difensiva, lasciando Israele scoperto alla reazione. E Netanyahu, che si è dimostrato ancora una volta non un estremista assatanato come lo dipingono i suoi nemici e buona parte dei media europei, ma un politico fermo sui principi e però flessibile e realistico sui mezzi, ha negoziato in queste settimane delle compensazioni con l’amministrazione Usa. Biden era evidentemente deciso a evitare alla vigilia delle elezioni una guerra aperta con l’Iran anche al costo dell’abbandono della sicurezza di Israele, e Netanyahu ne ha dovuto tener conto. Ormai mancano solo 10 giorni alla scelta degli elettori americani, che è decisiva anche per il Medio Oriente. Israele sarebbe evidentemente favorito dalla vittoria di Trump, ma non può esserne sicuro. E ricorda bene che otto anni fa, dopo la sconfitta di Hillary Clinton, Obama si prese una vendetta dell’ultima ora, lasciando passare al consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite senza opporre il veto una grave mozione anti-israeliana. Fino al 20 gennaio del 2025 l’amministrazione americana resta quella attuale, con tutti i suoi poteri. Sarebbe stato un grave errore non prendere in considerazione le sue richieste.

    Che succede ora?
    In seguito all’attacco israeliano l’Iran ha dato segnali contraddittori. Da un lato nega di aver subito danni gravi, il che è prassi per le dittature in guerra, ma è anche una possibile premessa per giustificare la scelta di non rispondere che, secondo la stampa internazionale, avrebbe comunicato subito a Israele attraverso mediatori internazionali. Se fosse confermata, questa notizia rafforzerebbe la voce pubblicata dal “Washington Post” secondo cui anche Israele prima dell’attacco avrebbe fatto sapere all’Iran il suo aspetto limitato, avvertendo però che in caso di contro-rappresaglia iraniana ci sarebbe stato un nuovo attacco molto più grave. Certe volte la storia si fa anche con queste strane trattative fra nemici. Resta il fatto che Israele ha mostrato di poter colpire impunemente i punti più delicati dell’Iran. Se invece gli ayatollah decidessero di rispondere, come hanno ripetutamente minacciato con comunicati ufficiali durante la giornata di sabato, difficilmente l’amministrazione Biden potrebbe obiettare alla scelta di distruggere il nucleare iraniano.

    Un chiarimento strategico
    Oggi è chiaro a tutti che lo spazio aereo dell’Iran è aperto a Israele come quello del Libano, anche senza che gli Usa intervengano (hanno negato ufficialmente di averlo fatto in questa occasione). Il dominio del cielo, nella guerra moderna, è la base della vittoria. Al di là dei suoi effetti concreti, questa operazione mostra agli stati della regione che il regime iraniano non è in grado di prevalere sullo Stato ebraico, come pretende. Questa di fatto è la base per rinnovare l’alleanza fra Israele e mondo sunnita. Nel frattempo prosegue l’azione delle forze armate israeliane per ripulire Gaza e il Libano meridionale, continuano i bombardamenti sulle basi di Hezbollah, che in questi giorni si sono estesi anche in Siria e in Iraq. Insomma Israele sta perseguendo in maniera ordinata e progressiva i propri obiettivi. È una strada lunga, anche se i risultati sono positivi. Chi pensava che la vittoria arrivasse subito con l’eliminazione di Sinwar o con il bombardamento dell’Iran si illudeva. Ma la situazione strategica oggi è assai diversa da quella di un anno e anche solo di un mese fa.

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