Nell’anniversario del 7 ottobre in Israele alle 6.29 è iniziato il ricordo collettivo del pogrom di Hamas. Le cerimonie sono iniziate da Re’im, il kibbutz al sud del paese dove un anno fa migliaia di giovani si erano riuniti per il Nova Festival, prima di essere attaccati, prima che molti tra loro fossero massacrati e rapiti dai terroristi di Hamas. Di tutte le immagini dell’orrore in presa diretta quel sabato mattina, da Re’im abbiamo visto l’ultimo scorcio di vita dei giovani che celebravano la musica, l’aggregazione e la voglia di ballare, fino ad un attimo prima che si scatenasse l’inferno. Quei ragazzi li abbiamo visti nelle dirette, nelle storie su Instagram, nei TikTok, con i loro sorrisi, i saluti agli amici, ai genitori, gli abbracci, i balli e le canzoni. Tutto ciò che fanno i giovani di vent’anni. Sono immagini di vita che conserviamo nella nostra memoria, che ci raccontano cosa ha perso Israele. Dopo sono seguiti i racconti in diretta del massacro. E gli stessi giovani che poco prima ballavano felici, poi si nascondevano aiutandosi l’un l’altro, correvano trasportando coetanei feriti che non conoscevano, fuggivano dai persecutori dando forza e sostenendo chi gli stava accanto, oppure cercavano di schivare una raffica di mitra dopo aver caricato in macchina dei perfetti sconosciuti. In alcuni casi abbiamo visto anche video sopravvivere ai ragazzi che li stavano girando, uccisi dai terroristi, mentre la loro auto proseguiva per qualche metro prima di fermarsi per sempre.
Oggi, ripercorrendo quei contenuti, ho pensato nuovamente chi sono i giovani israeliani, quella TikTok Generation sulla quale in pochi avrebbero scommesso e che dopo il 7 ottobre ha dovuto attingere ad ogni risorsa per la sopravvivenza dello Stato e del popolo ebraico.
Scrollando Instagram poco prima della manifestazione non autorizzata propal che ha preso d’assalto il centro di Roma sabato scorso, sul profilo di un collettivo studentesco appartenente ad un noto liceo, gli studenti pubblicavano una storia per richiamare i giovani all’appuntamento che celebrava il pogrom jihadista del 7 ottobre come fosse “un atto di resistenza”: mentre un gruppo di ragazzi sullo sfondo teneva uno striscione con su scritto “Israele stato terrorista”, alcuni giovani incappucciati davano alle fiamme con un fumogeno la foto del premier israeliano Benjamin Netanyahu. Immagini cupe, che sembrano imitare i macabri rituali di decapitazione dell’ISIS. Scopro altri profili di collettivi, altri striscioni che inneggiano alla “Palestina libera” (ormai è sdoganato anche il seguito della frase… “dai sionisti”, dunque dagli ebrei), di cortili incendiati da fumogeni e ragazzini sempre incappucciati dal volto oscuro.
Per fortuna anche i contenuti nel mondo effimero dei social durano il tempo di una storia su Instagram. Anche la solidarietà per il massacro dei ragazzi a Re’im è durata così poco e si è persa in chissà quale evanescenza.