In varie fonti si racconta che Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) aveva un talmìd (discepolo) di nome Abner, che abbandonò l’osservanza della mizvòt e abbracciò la religione locale credendo così di poter migliorare il suo standard di vita. Successivamente, quando il Nachmanide lo incontrò, Abner gli chiese se era vero che nella cantica di Haazìnu vi sono accenni sui nomi e sulle vicende delle persone in questo mondo.
Il Nachmanide rispose che confermava quanto aveva detto. Infatti, in questa parashà il Nachmanide insegna che la cantica di Haazìnu contiene una promessa esplicita della futura redenzione del popolo d’Israele contro le affermazioni dei miscredenti. Egli cita il Midràsh Sifrì nel quale i Maestri affermano che la cantica di Haazìnu contiene il presente, il passato e il futuro.
Abner gli chiese quindi di dirgli dove vi era un accenno al suo nome nella cantica di Haazìnu. Il Nachmanide rispose che si trova nel versetto dove è scritto: “… li disperderò, farò cessare il loro ricordo dall’umanità”(Devarìm, 32:26). Il Nachmanide mostrò ad Abner che in ognuna di queste quattro parole le terze lettere del testo ebraico (זכרם מאנוש אשביתה אפאיהם) Alef, Bet, Nun e Resh, componevano il nome Abner. Questo fu sufficiente per scioccare Abner che si pentì di quello che aveva fatto.
R. Aharon Shurin (Lituania,1913-2012, Brooklyn) in Keshet Aharon su questa parashà, scrive che una storia simile, viene raccontata nell’opera Mekòr Barùkh di r. Barukh Halevi Epstein (Belarus, 1860-1941). In quest’opera egli offre un ritratto della sua famiglia e delle personalità di spicco della generazione precedente. Tra gli altri egli descrive i difetti fatali di Moses Mendelssohn nella sua negazione dell’identità nazionale ebraica nella diaspora. Per Mendelssohn gli ebrei erano una religione, ma la loro nazionalità era quella del paese in cui vivevano. Questa opinione era distruttiva al punto che nessuno dei suoi discendenti rimase ebreo. Fino ad oggi Mendelssohn è considerato un facilitatore dell’assimilazione degli ebrei in Germania.
Nell’introduzione alla sua traduzione e al commento della Torà in tedesco, Mendelssohn si lamentò del fatto che un suo assistente, r. Shlomo Dubna, fosse improvvisamente sparito, senza dare notizia di se o un motivo per la sua sparizione. R. Epstein scrive che il motivo per la sparizione di r. Dubna, fu il suo incontro ad Amburgo con r. Raphael Hakohen Susskind (Lituania, 1722-1803, Altona) rabbino capo delle comunità ebraiche di Altona, Amburgo e Waldsbeck. R. Susskind cercò in ogni modo, ma senza successo, di bloccare il progetto della traduzione della Torà in tedesco di Mendelssohn.
R. Epstein racconta che quando r. Dubna arrivò ad Amburgo per promuovere l’opera del Mendelssohn, venne a visitare r. Susskind. R. Dubna si lamentò con r. Susskind del fatto che tanti rabbini erano contrari al progetto del Mendelssohn. R. Susskind rispose citando la frase dei Pirkè Avòt (Massime dei padri, 3:13) dove è scritto: “Chi ha la benevolenza degli uomini, ha certo anche quella dell’Onnipresente; mentre chi non è amato dagli uomini, non è amato nemmeno dall’Onnipresente” (traduzione di Joseph Colombo).
I due continuarono nella loro conversazione nel corso della quale vennero a parlare del Nachmanide che scrisse che nella Torà vi è un accenno di ogni israelita e di ogni grande evento in Israele. R. Susskind disse a r. Dubna che quello che aveva scritto il Nachmanide era pura verità. R. Dubna chiese quindi a r. Susskind dov’era l’accenno nella Torà a Mendelssohn e alla sua opera. R. Susskind rispose che il versetto della Torà era nella parashà di Emòr (Vaykrà, 22:25) dove è scritto: “Sono guasti e difettosi”. R. Susskind fece notare a r. Dubna che le iniziali di queste parole sono uguali a quelle del nome con cui veniva chiamato Mendelssohn, Moshè Ben Menachem Berlin: בם מום בהם משחתם – Mem, Bet, Mem, Bet. E fu così che r. Dubna non tornò a Berlino e non si fece più vivo con Mendelssohn.