Un flusso di coscienza alla Freud è quello in cui il professore Piero Di Nepi si cimenta nel suo ultimo libro, “Effetto Gaza”, edito dall’Accademia degli Incolti. Un flusso di storia ebraica che ci conduce a balzi nel tempo per poi riportarci all’indomani del 7 ottobre. “La versione precedente della realtà ebraica è stata ridotta a rovine paleontologiche la mattina di Shabbat Simchàt Torà 5784, 7 ottobre 2023 – scrive Di Nepi – Da sempre gli ebrei combattono una battaglia difficile per un’informazione che non li uccida, ma con lo Stato ebraico l’equazione si è fatto più complessa. La guerra di Gaza si è trasformata in conflitto totale tra nemici in apparenza irriducibili. Il 7 ottobre un asteroide si è abbattuto su Israele, il suo nome è Hamas”. Di Nepi ha il coraggio di parlare di “antigiudaismo militante” che ignora che Kafka era sionista e che a Einstein fu offerto l’incarico di primo presidente dello Stato d’Israele.
Le conseguenze della guerra si sono poi sentite non soltanto su Israele, ma, come al solito, anche sugli ebrei della Diaspora. “La nuova ostilità antiebraica scatenata nel mondo dopo il 7 ottobre disorienta e spaventa molte comunità ebraiche, perfino Israele – prosegue Di Nepi – Hamas ha trovato giustificazione a causa di anni di presunta oppressione. Però a Gaza governava appunto Hamas e in modo totalitario. Nella presunta prigione a cielo aperto entrava di tutto. I missili non si fabbricano con la forza del pensiero, le gallerie non si scavano da sole”. Di Nepi sottolinea anche l’oblio immediato della strage del 7 ottobre e descrive lucidamente la situazione. “Il massacro al rave e le stragi nei kibbutzim indifesi, come anche gli ostaggi, furono dimenticati non appena Israele iniziò a reagire con le armi. Però si è apparentemente trovato un capro espiatorio definitivo, ovvero il premier israeliano e il suo governo nazionalreligioso al comando durante l’intervento su Gaza. La reazione esclusivamente militare di Israele è ritenuta eccessiva dalla comunità internazionale, soprattutto dagli amici di Israele. Tutti sanno che per chiudere la crisi, fermare la guerra, sarebbe bastato che Hamas si arrendesse e restituisse gli ostaggi”.
Di Nepi continua nel descrivere quello che è successo nei campus universitari americani. “Il politically correct estremizzato tutela tutte le minoranze tranne gli ebrei. Con la guerra di Gaza l’odio antiebraico non ha trovato limitazioni nei campus. Le sacerdotesse e i sacerdoti del politically correct nel mondo anglosassone si sono rapidamente trasformati in grandi inquisitori. Il bersaglio è presto individuato: l’ebreo colpevole di sionismo e si sostegno allo Stato ebraico”. “Quando – spiega Di Nepi – l’ebraismo esige attenzione per le leggi vigenti: La legge dello Stato è legge, come prescritto dal Talmud”.
Per Di Nepi, bisogna guardarsi dal razzismo, tout court. “In Europa – spiega – gli ebrei assistono ammutoliti alle ondate di nuovo razzismo. È un razzismo che per ora scarica il suo odio soprattutto contro i Rom, ma è anche islamofobo, anticinese, genericamente “anti” tutto ciò che non sia continentalmente “puro”. L’ebreo più pericoloso – per l’antisemita vero e ben certificato – è quello che si mimetizza, senza zucchetto e senza barba. Nonostante ogni apparenza contraria siamo muti perché abbiamo paura. Temiamo che prima o poi arriverà ancora una volta il nostro turno. Svastiche e scritte sui muri, minacce di boicottaggio contro negozi e professionisti, insulti allo stadio, provocano vibranti appelli e interviste. Non esiste una strategia di reazione. La condizione mentale minoritaria è affidarsi alla tattica più collaudata in attesa del prossimo blitz dei nemici vecchi e nuovi. Sappiamo che non si sono dimenticati di noi, alcuni aspettano la prossima occasione per portare a termine la missione interrotta nel 1945”.
Il libro termina con due racconti commoventi. Quello della presa di Porta Pia, dove Di Nepi immagina un sogno di Pio IX, il grande nemico degli ebrei, che presagisce la razzia del 16 ottobre, quasi come vendetta del crollo dello Stato Pontificio. Ma l’immagine negativa dell’ultimo Papa Re viene spazzata via da quella di un “giusto”: il Sor Augusto. Portiere di uno stabile al centro di Roma, quella terribile mattina “non perse tempo e decise di svegliare tutti, ebrei e no, mettendosi a gridare nel cortile: Scappate, sverti, li tedeschi stanno a porta’ via l’ebbrei. Il Sor Augusto se ne andò in pensione dopo tanti anni. Il fatto di aver salvato un centinaio di persone alle cinque del mattino del 16 ottobre 1943 pareva al Sor Augusto la cosa più naturale del mondo”.