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    ISRAELE

    Un ricordo di un ragazzo del quartiere

    Hersh Goldberg-Polin, io so che ci siamo incontrati. So che è avvenuto spesso nel nostro quartiere di Yerushalaim. Forse è successo un venerdì mattina in fila da Aldo, mentre aspettavamo di comprare un gelato o forse mentre passeggiavo per godere di quella nevicata in quell’inverno famoso quando si chiusero tutte le scuole per una settimana. O forse ti ho visto al supermercato di Emek Refaim che compravi l’orrenda bustina di shoko da aprire rompendola con i denti. Forse banalmente ci saremmo incontrati, correndo, entrando o uscendo dalla sinagoga “Shtiblach” di Katamon, quando siamo andati all’ultimo minian mattutino di un giorno di vacanza. Forse stanchi ed assonnati ci saremmo incontrati su Rechov HaPalmach, una domenica mattina, quel terribile “yom rishon” di stanchezza, quando tu hai attraversato davanti alla mia macchina per andare alla tua scuola, Himmelfarb ed io accompagnavo i miei figli maschi alla meravigliosa scuola di Dugma Uziel. Mia figlia maggiore probabilmente si era incrociata con tua sorella, Libi, mentre lei andava alla scuola Tehila e mia figlia ad Hartmann. Si sarebbero riviste loro due al movimento degli tzofim, degli scout in qualche altro luogo del quartiere. Forse mia figlia aveva una cotta per te che eri il fratello maggiore, grande, bello della sua amica. Perché Hersh, tu eri un ragazzo del quartiere, con il tuo sorriso, i tuoi occhiali, i sandali “shoresh” d’estate e le scarpe “blundstone” marroni e nere d’inverno. La felpa a farti da unico cappotto negli inverni freddi di Yerushalaim, ma nulla di più, forse un cappello, più per moda che per necessità di difesa contro il freddo. Perché il freddo non colpisce un adolescente pieno di vita, pieno di sogni, pieno di energie e il freddo della tua ingiusta morte non ti colpisce nemmeno adesso che sei un giovane uomo. Il tuo sorriso è eterno come i tuoi passi nel nostro quartiere. Resta a noi il freddo della terribile responsabilità per te e per tutti gli altri ancora nelle mani assassine di Hamas. Il freddo gelido di ciò che avremmo potuto fare e non abbiamo fatto e non stiamo facendo. Nella settimana della parashà, quella di Shoftim, che ci ricorda che quando veniva trovato un cadavere di uno sconosciuto in mezzo ad un campo, gli anziani della città più vicina se ne assumevano la responsabilità di sepoltura e affermavano che seppur non avevano versato il sangue di quella vittima, chiedevano a Dio il perdono per loro stessi, per la loro città, per tutto il popolo di Israele che non aveva accolto quello sconosciuto in casa propria lasciandolo girovagare nei pericoli della campagna di notte. Ma tu Hersh non sei uno sconosciuto, sei un ragazzo del quartiere e quindi le nostre mani non sono poi così pulite. Non possiamo liberarci della colpa con un sacrificio animale come quello comandato nella parashà, non possiamo tornare nelle nostre case maledicendo la guerra. Non possiamo più, ora non più. Adesso dobbiamo assumerci la responsabilità della tua vita falciata ed ancora di più della tua mancata liberazione in queste fredde notti di qualcosa che non sta funzionando. Hersh, mentre i tuoi passi allegri continueranno ad andare nel nostro quartiere e noi continueremo ad incontrarti, con i sandali shores e le blundstone e continueremo ad incontrare la nostra colpa e la nostra responsabilità ed il senso di ciò che non è stato fatto.

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