Agam Goldstein-Almog, una ex prigioniera di Hamas rilasciata a novembre, ha recentemente raccontato la sua dolorosa esperienza di prigionia e l’antisemitismo affrontato dopo la sua liberazione in un articolo sul Washington Post. Nata nel 2007 e cresciuta nel Kibbutz Kfar Aza, vicino alla Striscia di Gaza, Agam è stata catturata insieme alla madre e ai due fratelli minori durante l’attacco terroristico del 7 ottobre, in cui suo padre e sua sorella sono stati tragicamente uccisi.
Nel suo racconto, Agam descrive il clima di terrore vissuto durante la prigionia, iniziato appena arrivata a Gaza, dove è stata circondata da una folla di giovani che, come ha descritto Agam, “sorridevano, ridevano” mentre la ragazza piangeva. Costretta a recitare preghiere islamiche e a indossare un hijab, Agam ha vissuto un odio profondo per la sua identità ebraica. “La mia guardia di Hamas mi odiava perché ero ebrea… mi è stato proibito di piangere mio padre e mia sorella; spesso mi veniva ordinato di guardare a terra”.
Durante la sua prigionia, rinchiusa in un tunnel sotterraneo, la ragazza ha incontrato altre sei donne che erano state fatte prigioniere e molestate sessualmente dai terroristi. Uno degli episodi più agghiaccianti è stato quando una guardia le ha detto che avrebbe trascorso il resto della sua vita come “una schiava incatenata” a Gaza e che presto sarebbe stata costretta a sposarne uno di loro. “Ho avuto la fortuna di essere liberata, insieme alla mia famiglia, in uno scambio di prigionieri dopo 51 giorni”, ha raccontato. “Ma quelle sei giovani donne sono ancora prigioniere, trattenute da oltre 300 giorni, senza le loro madri. Avrebbero dovuto essere liberate molto tempo fa”. Ma anche dopo la liberazione, Agam ha dovuto affrontare nuove forme di sofferenza. Durante i giorni di prigionia, sognava la libertà, immaginando un mondo che l’avrebbe accolta con affetto e comprensione. Invece, al suo ritorno, ha trovato un ambiente caratterizzato da profonde divisioni e da un odio crescente: “Una delle mie fantasie era che saremmo stati liberati e la gente ci avrebbe accolto, ma il mondo in cui sono tornata era profondamente diviso e pieno di rabbia. L’odio che pensavo di aver lasciato a Gaza mi stava aspettando online”.
L’esperienza di Agam evidenzia l’impatto devastante dell’odio sui social media. “Le sezioni dei commenti degli articoli che menzionavano il mio nome erano campi di battaglia, dove l’odio di una parte veniva corrisposto con altro odio”. Preoccupata per l’evoluzione del dibattito pubblico, ha notato come il movimento occidentale per un cessate il fuoco a Gaza spesso si stesse trasformando in un sostegno implicito ad Hamas.
In un contesto globale sempre più polarizzato, la testimonianza di Agam serve per riflettere sulla necessità di solidarietà umana e di un impegno costante contro l’antisemitismo, affinché coloro che riescono a sopravvivere all’orrore di angherie come una simile prigionia e a tali sofferenze possano trovare conforto in un mondo che li accoglie con rispetto e compassione.