La parashà si apre con il versetto: “Ya’akòv si stabilì nella terra dove suo padre aveva abitato (be-eretz megurè avìv), nella terra di Canaan” (Bereshìt, 37:1).
R. Ya’akòv ben Asher (Colonia, 1269-1343, Toledo) detto “l’autore dei Turìm” dalla sua opera di Halakhà, scrive che le parole “megurè avìv” (dove suo padre aveva abitato) hanno lo stesso valore numerico di Chevròn, la città dove abitava il padre Yitzchàk.
R. Naftalì Tzevì Yehudà Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia), detto il Natziv dalle sue iniziali, nel suo commentoHa’amèk Davàr precisa che nella Torà non è specificato che Ya’akòv abitò a Chevròn perché si stabilì in una zona attorno alla città nella valle di Chevròn. Fu infatti da lì che Ya’akòv mandò il figlio prediletto Yosef a vedere cosa facevano i fratelli che pascolavano il gregge a Shekhèm (ibid., 37:14). I fratelli lo vendettero come schiavo a una carovana che andava in Egitto (ibid., 37:28) e fu per questo motivo che più tardi i figli d’Israele andarono ad abitare in quel paese.
Rashì (Francia, 1040-1105) nel suo commento alla Torà cita un passo dal Midràsh (Bereshìt Rabbà, 84:3) dove è detto: “Si stabilì: Ya’akòv desiderava abitare tranquillo quando gli capitò la disgrazia di Yosef“.
Ya’akòv non aveva avuto un vita tranquilla: prima dovette fuggire da Chevròn a Charàn in Mesopotamia dallo zio Lavàn su ordine della madre per timore che il gemello Esau lo uccidesse; presso Lavàn lavorò per vent’anni “venendo consumato dal caldo di giorno e dal gelo di notte” (ibid., 31:40); al ritorno da Charàn dovette prepararsi al peggio nell’incontro con il fratello Esau; arrivato a Shekhèm, la figlia Dina fu rapita e violentata dal figlio del Re della città. Ed ora il figlio Yosef viene venduto schiavo in Egitto e dato per morto per ventidue anni. Poi, quando i figli di Ya’akòv, scesero in Egitto durante gli anni di carestia per comprare grano furono accusati di essere delle spie. Fu detto loro che per dimostrare la loro innocenza avrebbero dovuto tornare con il fratello minore, Beniamino. A quella notizia il padre Ya’akòv si sfogò con loro dicendo: “Mi avete fatto perdere figli; Yosef non c’è più, Shim’òn non c’è più, ora volete prendere Beniamino; a me le capitano tutte!” (Ibid., 42:36).
R. Shelomò Samama (Tunisi, XIX secolo) nella sua operaSas Anokhi (pubblicata nel 1878 a Livorno dalla casa editrice Benamozegh) commenta che, tornato da Charàn, Ya’akòv riteneva di poter finalmente vivere tranquillo perché credeva che la profezia dell’Eterno ad Avrahàm che i suoi discendenti sarebbero vissuti da forestieri in terra straniera per quattrocento anni (ibid., 15:13), fosse stata soddisfatta dalle sue sofferenze dei vent’anni presso Lavàn “consumato dal caldo di giorno e dal gelo di notte”. Questa affermazione che vent’anni di sofferenze presso Lavan fossero equivalenti a quattrocento anni in terra straniera, appare sorprendente.
Viene però corroborata da R. Yosef Beer Soloveichik (Belarus, 1903-1993, Boston) che in Mesoras Harav (p. 273) scrive: “Se non fosse stato per il dissidio tra Yosef e i suoi fratelli, l’esilio profetizzato [ad Avrahàm] di restare oppressi per quattrocento anni in terra straniera sarebbe stato soddisfatto dagli anni passati a Charàn. I calcoli divini sono diversi da quelli umani. Infatti i figli d’Israele vissero in Egitto solo 210 anni e non 400. Se così, Iddio avrebbe potuto ridurre ulteriormente l’esilio ai vent’anni che Ya’akòv visse a Charàn, risparmiando del tutto l’esilio egiziano. Fu la discordia tra i figli di Ya’akòv che ostacolò il suo piano di ereditare subito “la terra dove suo padre aveva abitato”.