Il rabbino Roberto Della Rocca, direttore del Dipartimento Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, scrive oggi su Il Corriere della Sera rispondendo ad un editoriale sul tema dell’antisemitismo, apparso pochi giorni a firma di Ernesto Galli della Loggia. Nell’editoriale si esprimeva l’idea che il senso di colpa della civiltà occidentale, per quanto accaduto durante la Shoah, fosse una delle chiavi principali per comprendere l’antisemitismo contemporaneo: per liberarsi da quel senso di colpa, una certa parte dell’Europa ha bisogno adesso di liberarsi dei suoi ebrei.
“Ma la Shoah – scrive Della Rocca – pur avendo decimato un terzo del popolo ebraico ed eliminato la parte più propulsiva dell’ebraismo in Europa, non costituisce il «Golgota» della storia e della cultura ebraica. Per gli ebrei resta infatti una «Shoah», letteralmente «una catastrofe», e non un «Olocausto» (un sacrificio cruento e che si consuma totalmente) concetto che non ha diritto di cittadinanza nella nostra cultura”. “La Shoah – prosegue – non è neppure il martirio, semmai l’apice di un antigiudaismo con radici cristiane ben piantate che ha visto spesso assassini e delatori di ebrei che erano appena usciti dalla Chiesa per la Messa mattutina o carnefici che nella stessa Auschwitz piantavano l’albero di Natale”.
La Shoah quindi come una pagina della storia del popolo ebraico e non la storia del popolo ebraico. Tanto è vero che l’ebraismo, scrive Della Rocca “ha continuato a esprimere una resilienza culturale e identitaria che ha visto gli ebrei continuare a esercitare quel ruolo di minoranza che vive e che lotta affinché ci siano sempre culture di minoranza. Gli ebrei oggi si esimerebbero ben volentieri dal ruolo scomodo di «sentinelle» della società civile se il tessuto sociale non fosse silente qual è e se non si assistesse a una demolizione progressiva di tutti quei tabù e di quegli argini che hanno retto, pur con sfumature ambigue, per tanti anni”.
Il rapporto tra società occidentale e sentimento di colpa per la Shoah porta con se anche il modo e le forme in cui l’Europa si relaziona con lo Stato di Israele e dell’insofferenza che esso produce negli antisemiti. “La vecchia Europa della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità, che di fraternità ne offre in realtà sempre meno – scrive Della Rocca – fatica a reggere il confronto con un Paese minuscolo che è riuscito a canalizzare la rabbia e il dolore nel costituirsi come un laboratorio politico, sociale e culturale pressoché unico al mondo e come tale, ancora una volta, osteggiato proprio per ciò che è riuscito a divenire. E l’ambiguità di un approccio di comodo a far sì che l’Europa voglia credere che lo Stato d’Israele sorga per via della Shoah anziché, come invece sarebbe palese, suo malgrado; come dire che, se la catastrofe dell’ebraismo europeo non ne è la premessa, Israele non saprebbe esserne la conseguenza”.