Questa parashà inizia con una serie di benedizioni che arriveranno al popolo d’Israele se osserveranno le mitzvòt comandate dall’Eterno. Segue tutta una serie di disgrazie che potranno arrivare a loro se, al contrario, non osserveranno le mitzvòt.
Alla fine della parashà dopo l’elenco delle disgrazie, la Torà conclude la sezione con parole di consolazione: “E, nonostante tutto questo, quando saranno nel paese dei loro nemici, non li disprezzerò e non li prenderò in avversione fino al punto d’annientarli del tutto e di rompere il mio patto con loro; poiché io sono l’Eterno, il loro Dio; ma per amor d’essi mi ricorderò del patto stretto coi loro antenati, i quali trassi dal paese d’Egitto, nel cospetto delle nazioni, per essere il loro Dio. Io sono l’Eterno. Questi sono gli statuti, le prescrizioni e le leggi che l’Eterno stabilì fra sé e i figli d’Israele, sul monte Sinai, per mezzo di Moshè” (Vaykrà, 26: 44-46).
R. Joseph Beer Soloveichik (Belarus, 1903-1993, Boston), in Mesoras Harav (p. 234) cita un passo dal trattato Meghillà (11a) dove è scritto: “Non li disprezzerò” ai tempi di Ciro quando inviò ‘Ezra; “Non li prenderò in avversione” ai tempi degli Asmonei, quando inviò Mattatià e i suoi cinque figli; “Non li annienterò” ai tempi di Tito quando mandò r. Yochanan ben Zakkay. Il Talmud non afferma solo che gli ebrei furono salvati da crisi e disgrazie, ma fornisce anche i nomi dei leader ai quali l’Onnipotente assegnò il compito di assistere il popolo. Durante la nostra storia la misericordia divina non si manifestò solo nel fatto che siamo sopravvissuti, ma anche dall’esistenza di grandi leader. Questi leader non hanno solo svolto un importante ruolo nella storia ebraica, ma hanno anche fatto storia.
R. Soloveitchik aggiunge che possiamo comprendere quanto il Santo Benedetto sia vicino al popolo d’Israele da un’affermazione del tosafista rabbenu Tam (Ramerupt, 1100-1171, Troyes) nipote di Rashì, nel trattato Shabbàt (55a). In quel passo talmudico Shemuel (chakhàm babilonese che visse a cavallo tra il secondo e il terzo secolo E.V. in Babilonia) afferma che i meriti dei patriarchi terminarono ai tempi del profeta Yechezkel. Da allora i meriti di Avraham non servono più a far sì che l’Eterno tolleri i nostri peccati. A questo proposito rabbenu Tam afferma che per quanto i meriti dei patriarchi siano terminati, il patto tra l’Eterno e i nostri antenati è ancora valido. La cosa è resa evidente dal versetto nel quale è scritto: “E ricorderò il Mio patto con Ya’akov e anche il mio patto con Yitzchak e anche il mio patto con Avraham e ricorderò la terra” (Vaykrà, 26:42). Questo significa che l’Eterno ricorderà il patto con i patriarchi anche quando Israele è in esilio. Il motivo è che la Torà non specifica nessun termine al patto che fece con i patriarchi.
Qual è la differenza tra i meriti dei patriarchi e il patto con i patriarchi? Il Padrone del Mondo amava Avraham. Poichè suo figlio Yitzchak seguì i comportamenti del padre, il Santo Benedetto trasferì l’amore che aveva per Avraham al figlio Yitzchak; da Yitzchak a Ya’akov e da Ya’akov ai suoi figli e così via fino alla generazione del profeta Yechezkel ai tempi della distruzione del primo Bet ha-Mikdàsh. Il fatto che l’Eterno amasse Avraham, Yitzchak e Ya’akov non significa che deva amare anche noi. Noi non ci comportiamo come i patriarchi. Abbiamo commesso peccati e ci siamo contaminati. I meriti dei patriarchi non possono servire a farci perdonare.
Il patto con i patriarchi è una cosa differente. Non dipende dall’amore; è un contratto nel quale le due parti si impegnano ad aiutare l’un l’altro durante la loro vita e anche i rispettivi discendenti. È un accordo che dura per sempre.