I numeri
Una settimana dopo Yom HaShoà, la ricorrenza in cui si ricorda il dolore del genocidio nazista ma anche l’onore e l’eroismo antinazista, tutta Israele è chiamata a ricordare un altro lutto e un altro eroismo, purtroppo più vicino e ancora drammaticamente attuale: quello dei suoi figli sacrificati nelle guerre che il paese ha dovuto affrontare per sopravvivere e di quelli che pur non indossando la divisa delle forze armate e degli altri servizi di sicurezza sono stati assassinati dai terroristi. Sono numeri molto consistenti per un paese che solo ora arriva a sforare i dieci milioni di abitanti fra cui circa sette milioni e duecentomila ebrei, ma per decenni ne ha avuti molti meno, seicentomila al momento dell’indipendenza. I caduti militari sono stati più di venticinquemila, i civili quasi cinquemila. Purtroppo, sono oltre millecinquecento i nuovi caduti quest’anno, il numero più grande da cinquant’anni. Se si considerano i feriti, i traumatizzati, coloro che hanno subito la perdita di casa e lavoro o altri danni esistenziali gravi – almeno dieci o venti volte tanti, si vede che ogni famiglia è partecipe di questa memoria della guerra e del terrorismo.
Tante guerre
Il nome è Yom HaZicharon, giornata della memoria, ma si intende anche come giornata dedicata alle Forze Armate, e non a caso è celebrata il giorno prima della festa dell’indipendenza, per indicare che il sacrificio dei cittadini che si dedicano alla difesa del paese è la premessa necessaria per la sua esistenza. In effetti pochi paesi nella storia hanno dovuto difendere non solo il loro territorio, ma la propria stessa vita così spesso, con rischi così gravi e aggressioni così votate allo sterminio. Trascurando i pogrom e le campagne di distruzioni contro l’insediamento ebraico nei decenni del Mandato britannico, dopo la difficilissima guerra di indipendenza del 1948-49 (lo stato ebraico neonato contro sei stati appoggiati dai britannici), ci fu la guerra del ‘56 contro l’Egitto, quella del ‘67 (“dei 6 giorni”) di nuovo contro una coalizione di tutti gli stati arabi vicini, seguita dalla “guerra d’attrito” con l’Egitto dal ‘67 al 70; quella del ‘73 (guerra del Kippur); le guerre del Libano nel ‘78, nell’82 e nel 2006; gli assalti terroristici fra cui le due grandi sollevazioni (“intifade”) dell’87-93 e del 200-2005; la lunga campagna di Gaza con cinque operazioni prima della guerra attuale.
Un esercito di popolo
Tutte queste guerre (e le altre minori che non abbiamo nominato per questione di spazio) hanno avuto un carattere difensivo; Israele non ha rivendicazioni economiche o territoriali su spazi al di là di ciò che gli era stato assegnato con la divisione del mandato britannico nel 1922 (e che già sconta la divisione in due stati del Mandato stesso, perché quella araba è la Giordania). Esse sono state sostenute da un esercito relativamente piccolo (175 mila persone in permanenza, in grande maggioranza di leva, con una riserva che può arrivare al mezzo milione). La grande maggioranza dei giovani fa il servizio militare, con alcune eccezioni (quella molto discussa dei charedim ma anche chi studia all’estero o è in particolari condizioni socio-economiche). Le donne vi sono sempre più con condizioni di parità con gli uomini: sono entrate di recente fra i carristi, nei reparti di assalto d’élite e fra i piloti degli aerei più sofisticati. Ma le forze armate trovano posto anche per giovani diversamente dotati e lavora per integrarli e impegnarli al meglio.
Le polemiche
Yom HaZicharon inizia questa sera alle venti con il suono della sirena che fa immobilizzare tutto il paese. Si svolgono cerimonie nei cimiteri di guerra sparsi per il paese, tutti decorate di bandiere israeliane e non c’è nessun caduto che non venga ricordato ed onorato. C’è preoccupazione quest’anno per le divisioni che investono la società israeliana. Alcuni parenti dei rapiti (non tutti), appoggiati dall’estrema sinistra, vogliono che Israele accetti qualunque accordo coi terroristi pur di riavere a casa gli ostaggi o le loro salme. Altri parenti dei rapiti e molti di quelli dei soldati caduti in battaglia non vogliono che il durissimo sforzo bellico di Israele sia ceduto ai ricatti dei terroristi e manifestano perché la guerra non sia arrestata. La preoccupazione che tali contrasti coinvolgano le onoranze ha indotto i principali politici israeliani (da Netanyahu a Gallant a Gantz a Lapid) a firmare un appello perché le divisioni non siano portare nei cimiteri militari.