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    Cristiani, ebrei e musulmani, dichiarazione congiunta: mai eutanasia e suicidio assistito

    I rappresentanti delle tre grandi religioni monoteistiche – Ebraica, Cristiana e Musulmana – hanno firmato ieri in Vaticano una lunga dichiarazione congiunta – 8 cartelle – dove vengono affrontati in una visione unitaria alcuni grandi temi etici, di particolare attualità: suicidio assistito, eutanasia, obiezione di coscienza, cure palliative. Il tema della comune riflessione e della relativa dichiarazione sottoscritta – in rappresentanza dell’ebraismo italiano vi era il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, anche nella sua veste di vice presidente della commissione di bioetica – è stato quello del modo in cui affrontare gli aspetti etici e morali sul problema del cosiddetto fine vita.

    «L’eutanasia e il suicidio assistito – hanno sottoscritto i rappresentanti delle tre religioni abramitiche – sono moralmente e intrinsecamente sbagliati e dovrebbero essere vietati senza eccezioni. Qualsiasi pressione e azione sui pazienti per indurli a metter fine alla propria vita è categoricamente rigettata». La Dichiarazione definisce il tema, con parole sempre esplicite: «Ci opponiamo a ogni forma di eutanasia – che è un atto diretto deliberato e intenzionale di prendere la vita – cosi come al suicidio medicalmente assistito che è un diretto, deliberato e intenzionale supporto al suicidarsi – in quanto sono atti completamente in contraddizione con il valore della vita umana e perciò di conseguenza sono azioni sbagliate dal punto di vista sia morale sia religioso e dovrebbero essere vietate senza eccezioni».

    La dichiarazione si sofferma anche sul comportamento che dovrebbe tenere il personale medico: «Nessun operatore sanitario dovrebbe essere costretto o sottoposto a pressioni per assistere direttamente o indirettamente alla morte deliberata e intenzionale di un paziente attraverso il suicidio assistito o qualsiasi forma di eutanasia, specialmente quando tali prassi vanno contro le credenze religiose dell’operatore». Il riconoscimento del diritto di obiettare a leggi ingiuste è il conseguente corollario: «È stato favorevolmente recepito, nel corso degli anni, che dovrebbe essere rispettata l’obiezione di coscienza agli atti che contrastano i valori etici di una persona – si legge nella Dichiarazione interreligiosa –. Ciò rimane valido anche se tali atti sono stati dichiarati legali a livello locale o da categorie di persone. Le credenze personali sulla vita e sulla morte rientrano sicuramente nella categoria dell’obiezione di coscienza che dovrebbe essere universalmente rispettata».

    Il punto fermo per le tre religioni è l’origine della dignità umana, messa alla prova quando la malattia diventa grave o terminale: «L’assistenza a chi sta per morire, quando non è più possibile alcun trattamento – scrivono i firmatari – rappresenta da un lato un modo di aver cura del dono divino della vita e dall’altro è segno della responsabilità umana ed etica nei confronti della persona sofferente». 

    «Gli interventi sanitari tramite trattamenti medici e tecnologici – dice la dichiarazione congiunta – sono giustificati solo nei termini del possibile aiuto che essi possono apportare. Per questo il loro impiego richiede una responsabile valutazione per verificare se i trattamenti a sostegno o prolungamento della vita effettivamente raggiungono l’obiettivo e quando invece hanno raggiunto i loro limiti. Quando la morte è imminente malgrado i mezzi usati è giustificato prendere la decisione di rifiutare alcuni trattamenti medici che altro non farebbero se non prolungare una vita precaria, gravosa, sofferente».

    «Incoraggiamo e sosteniamo – scrivono i firmatari – una qualificata e professionale presenza delle cure palliative ovunque e per ciascuno. Anche quando allontanare la morte e un peso difficile da sopportare, siamo moralmente e religiosamente impegnati a fornire conforto, sollievo al dolore, vicinanza, assistenza spirituale alla persona morente e ai suoi familiari». 

    Il documento si conclude con alcune proposte. «Dal punto di vista sociale dobbiamo impegnarci affinché il desiderio dei pazienti di non essere un peso non ispiri loro la sensazione di essere inutili e la conseguente incoscienza del valore e della dignità della loro vita, che merita di essere curata e sostenuta fino alla sua fine naturale». Dal punto di vista giuridico «leggi e politiche pubbliche che proteggano il diritto e la dignità del paziente nella fase terminale, per evitare l’eutanasia e promuovere le cure palliative». Sul piano culturale: «coinvolgere le nostre comunità sulle questioni della bioetica relative al paziente in fase terminale» facendo «conoscere le modalità di compagnia compassionevole per coloro che soffrono e muoiono»; «sensibilizzare l’opinione pubblica sulle cure palliative attraverso una formazione adeguata»; «fornire soccorso alla famiglia e ai cari dei pazienti che muoiono».

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