Perché Sinwar ha deciso di attaccare lo Stato di Israele proprio il 7 ottobre? Perché l’Intelligence israeliana non è stata capace di prevedere un simile attacco? Cosa sta facendo l’IDF, l’esercito israeliano, in questo momento?
Sono queste alcune delle principali domande che possono sorgere quando si cerca di avere una visione approfondita delle complicate sfide di difesa dei confini di Israele. Ed è a tali quesiti che ha tentato di rispondere uno dei più autorevoli commentatori militari e strategici israeliani, Israel Ziv, durante l’incontro “Israele, Quo Vadis?” che si è tenuto a Roma, organizzato dalla European Jewish Association.
Il Generale (in pensione) Israel Ziv è esperto di operazioni militari transfrontaliere, in particolare a Gaza, dove ha svolto un ruolo chiave nell’attuazione del disimpegno israeliano nel 2005, e in Libano, dove ha contribuito a formulare l’accordo strategico tra Israele e Stati Uniti. Durante il suo mandato come alto ufficiale responsabile delle relazioni estere dell’IDF, Ziv si è concentrato sull’avanzamento degli allineamenti strategici dell’IDF con i paesi stranieri. Ziv continua a fornire consulenza sulla sicurezza nazionale ai Paesi di tutto il mondo. Ziv è anche considerato un eroe della strage del 7 ottobre, visto il suo sforzo di respingere i terroristi di Hamas dal territorio israeliano.
Nell’incontro romano, per analizzare il quadro molto complesso, Ziv ha sottolineato l’importanza di analizzare la figura di Yahya Sinwar, leader fanatico di Hamas che, in quanto tale, è stato capace di uccidere con le proprie mani persone da lui considerate sleali. “È stato cresciuto all’insegna dei valori antisemiti della Fratellanza Musulmana: non riesce a considerare il diritto di Israele ad esistere”. “Fin dai tempi in cui era detenuto nelle carceri israeliane, il suo obiettivo è sempre stato quello di eliminare definitivamente lo Stato di Israele”.
Ma perché proprio il 7 ottobre?
Secondo l’analista militare prima di attaccare bisogna tenere a mente la capacità, l’intenzione, l’opportunità e il rischio. Durante le festività, nessuno di questi quattro elementi mancava all’appello. Tuttavia, il vero problema di Israele – spiega Ziv – è stato quello di non rendersi conto (o di non volersi rendere conto) che Hamas era passata da essere una semplice organizzazione terroristica ad una vera e propria organizzazione militare. In pochi sapevano veramente la data dell’attacco, forse non ne erano a conoscenza neanche i componenti di Hezbollah e dell’Iran. “Vi erano dei frammenti, ma nessuno si è degnato di vedere l’intera immagine”.
Oltre a non vedere Hamas come una minaccia, il fallimento dell’Intelligence e del governo è stato causato anche dalle continue tensioni all’interno dello Stato. “Israele ha tanti nemici e deve stare costantemente in allerta”. Nonostante tutto, in tre giorni l’IDF è riuscita ad eliminare coloro che avevano preso parte all’attacco e, in poco meno di una settimana, era pronto ad entrare a Gaza. “Mancava un piano ben definito, ma i soldati erano guidati dalla volontà di sradicare Hamas, sia da un punto di vista politico che militare”.
“Combattere tridimensionalmente è complicato, – continua Ziv – ma è ancora più difficile combattere sapendo che parte del tuo popolo è tenuto in ostaggio e usato come scudo umano”. D’altronde questa è la triste realtà anche per la popolazione civile a Gaza: “i tunnel costruiti da Hamas possono essere usati solo dai combattenti, mentre i civili possono cercare riparo solo altrove”.
Quando se ne avrà abbastanza? Già ora è possibile cercare una soluzione civile, in una sorta di processo di denazificazione volto ad eliminare ogni singola traccia di terrore, di cui è complice anche l’UNRWA.
Sarebbe bello poter guardare al futuro e sapere come finirà la guerra, ma ogni considerazione non è che un gioco di ipotesi, in cui è centrale il ruolo dell’Iran. Hamas, Hezbollah e gli Houthi risultano essere pedine di un gioco molto più grande che vede contrapposte, da una parte, l’alleanza Iran, Russia e Cina e, dall’altra, l’unica democrazia del Medio Oriente.