Alla fine di questa parashà, l’ultima della Torà, è scritto: “Non è mai più sorto in Israele un profeta come Moshè, al quale l’Eterno si rivelò faccia a faccia, come evidenziato da tutti quei segni e miracoli che l’Eterno lo mandò a fare nel paese d’Egitto, al Faraone, a tutti i suoi ministri e a tutto il suo paese; né simile a lui per quegli atti potenti e per tutte quelle gran cose, che Moshè fece alla presenza di tutto Israele” (Devarìm, 34: 10-12).
Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel suo commento alla Mishnà (Sanhedrin, decimo capitolo) elenca i tredici principi basilari della Torà che impegnano ogni persona d’Israele. Questi principi sono riassunti nel piyùt (poesia) “Igdàl” che viene cantato il venerdì sera nelle sinagoghe alla fine della tefillà di ‘Arvìt. Il settimo principio afferma che non vi fu né vi sarà mai un profeta come Moshè.
Il piyùt inizia con la parola “Igdàl” che significa “sia esaltato il Signore”. Con la parola “Nimtzà” viene presentato il primo principio, quello dell’esistenza del Creatore. Con la parola “Echàd” che Egli è uno e unico. Con “En lo demùt ha-guf” che l’Eterno non è corporeo. Con “Kadmòn” che Egli è eterno. Con “Hinò adòn ‘olàm” che non si deve pregare altro che a Lui. Con “Shèfa’ nevuatò” che l’Eterno comunica con gli esseri umani tramite i profeti. Con “Lo kam be-Israel” che non vi fu mai profeta come Moshè. Con “Toràt emèt” che la Torà è tutta di origine divina. Con “Lo yachalìf” che la Torà è immutabile. Con “Tzofè ve -yodèa’” che l’Eterno è onnisciente. Con “Gomèl” che l’Eterno ricompensa i giusti e punisce i malvagi. Con “Yishlàkh” che alla fine dei giorni l’Eterno manderà il Mashìach. Infine con “Metìm yechayè” che quando l’Eterno vorrà, avrà luogo la resurrezione dei morti.
Riguardo al settimo principio, il Maimonide scrive che bisogna sapere che Moshè è il supremo di tutti i profeti che lo hanno preceduto e di tutti quelli che lo hanno seguito. E tutti sono inferiori al suo livello. Ed egli è l’eccelso di tutto il genere umano, che comprese del Signore più di quanto comprese e comprenderà ogni altro essere umano esistito o che esisterà. E che Moshè giunse al limite dell’elevazione umana, al punto di raggiungere un livello angelico.
Le differenze tra la profezia di Moshè e di quelle degli altri profeti sono quattro: la prima differenza è che gli altri profeti non comunicano direttamente con l’Eterno ma con degli intermediari angelici. Moshè invece comunicava senza intermediari come è detto: “Faccia a faccia”. La seconda differenza è che la visione profetica agli altri profeti giunge in sogno oppure di giorno quando il profeta è preso da una “trance”, va in estasi e perde il controllo dei sensi. A Moshè invece la profezia arrivava di giorno mentre era sveglio e si trovava nella tenda dell’assemblea. La terza differenza è che quando a un profeta arriva una visione profetica, anche se gli arriva tramite un angelo, perde le forze e cade terrorizzato come se fosse di fronte alla morte, come avvenne con Daniel (10: 8-16). A Moshè invece la parola divina arrivava nello stesso modo in cui due persone parlano l’uno con l’altro, senza alcun tremore, grazie alla capacità del suo intelletto di connettersi con il divino. La quarta differenza è che a tutti i profeti, la profezia non arrivava quando la desideravano, ma solo a seguito della volontà divina. Alcuni profeti attesero per anni di ricevere la profezia. Moshè invece poteva ricevere la profezia quando voleva. Questi sono i motivi per cui cantiamo: “Non sorse mai in Israele nessun profeta come Moshè”.