Un
grandissimo successo all’insegna della coesione e dello spirito d’appartenenza. Nei
giardini del Tempio Maggiore di Roma centinaia di giovani si sono riuniti per
festeggiare Sukkot e studiare Torah, dedicando la serata alla memoria di
Stefano Gaj Taché, bambino di soli due anni vittima dell’attentato terroristico alla Sinagoga
nel 1982. Festa e memoria sono i cardini di ogni festività ebraica,
inscindibili per natura, lacci dello stesso nodo che rendono quotidianamente
vivo il ricordo.
“Siamo un
popolo dalla storia millenaria, tutte le feste sono legate ad un momento
storico – ha detto Gadiel Gaj Taché, fratello di Stefano, anch’egli ferito nel
terribile attentato – Come a Pesach ci sentiamo usciti dall’Egitto, vorrei che
tutti noi ci sentissimo “usciti” dall’attentato, che quel giorno possa essere
un ricordo indelebile da trasmettere alle generazioni future”.
L’evento è
stato organizzato dai movimenti Jewlead, Tiferet Chaim e UGEI (Unione Giovani
Ebrei Italia), assieme all’Associazione 9 ottobre 1982, che da tempo si occupa
di divulgare la storia dell’attentato. La preghiera collettiva ha esordito
l’itinerario della serata, lasciando poi il posto alle lezioni di Torah, a cura
del Rabbino Capo Riccardo Di Segni e del Morè Eitan Della Rocca, a cui è
seguito il commento del Presidente UGEI David Fiorentini: “Siamo riusciti a
raggruppare le entità ebraiche romane per mettere tutte le diversità sotto la
stessa Sukkà. È un momento di unità e Comunità, roccia a cui possiamo sempre
appenderci e da cui ripartire”.
Come il
Lulav si compone di quattro specie vegetali diverse che si uniscono per formare
un unico composto, così è l’essenza del popolo ebraico: eterogeneo e compatto
allo stesso tempo. Ma tutte le differente si annullano sotto la Sukkà (capanna),
un luogo di coesione dove l’uno diventa compagno dell’altro condividendo lo
stesso tetto e lo stesso cibo, dove il dialogo torna al centro dell’essenza
umana. Musica e Sushi hanno arricchito la serata, che si è poi conclusa con la
collettiva benedizione del pasto e il canto dell’Hatikwa, la speranza del
popolo ebraico.
Credit foto Luca Sonnino