Skip to main content

Ultimo numero Settembre – Ottobre 2024

Scarica il Lunario 5784

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    Commento alla Torà. Parashà di Ekev: la vita ideale è solo per pochi

    In questa parashà vi è la seconda porzione dello Shema’ che leggiamo ogni giorno e che inizia con le parole: “Ora, se obbedirete diligentemente ai comandi che oggi vi do, amando l’Eterno, vostro Dio, e servendolo con tutto il cuore e con tutta l’anima, io darò alla vostra terra la pioggia al suo tempo: la pioggia d’autunno e la pioggia di primavera, e raccoglierai il tuo grano, il tuo vino e il tuo olio (Devarìm, 11:13-14).

    Nel Talmud babilonese (Berakhòt, 35b) i maestri  hanno insegnato: “«E raccoglierai il tuo grano». Che cosa si deve imparare da queste parole? Dato nel libro di Yehoshua’ (Giosuè, 1:8) è scritto: «Questo libro della Torà non si diparta mai dalla tua bocca», potrei pensare che queste parole sono da prendere alla lettera [Rashì spiega: e quindi non avere un’occupazione]. Per questo è scritto: «E raccoglierai il tuo grano». Questo significa che bisogna sia studiare Torà sia avere un’occupazione [Rashì: perché se poi si dovesse aver  bisogno dell’aiuto di altri alla fine si smetterà di studiare Torà]. Questa è l’opinione di R. Ishma’el. R. Shim’òn  bar Yohài dice invece: «È possibile che sia così? Se un uomo ara nella stagione dell’aratura, semina nella stagione della semina, raccoglie nella stagione della mietitura, trebbia nella stagione della trebbiatura e separa la pula dal grano nella stagione del vento, che ne sarà della Torà? Non può essere così. Invece quando Israele esegue il volontà dell’Onnipresente, il loro lavoro è svolto da altri come dice il profeta Yesha’yà (Isaia, 61: 5-6): «E degli stranieri staranno a pascere i vostri greggi, i figli dello straniero saranno i vostri agricoltori e i vostri vignaiuoli.  Ma voi sarete chiamati sacerdoti dell’Eterno […]». Abayè disse: «Molti hanno seguito il consiglio di Ishma’el e hanno avuto successo; altri hanno seguito quello di R. Shim’òn bar Yohài e non hanno avuto successo»”.

    R. Avigdor Burstein(Gerusalemme, 1947-) in una delle sue lezioni sulle parashòt, citò r. Yitchàk Zeev Soloveitchik (Belarus, 1886-1959, Gerusalemme) che fu rav della citta di Brisk (Brest Litovsk) e che spiega che l’opinione di R. Shim’òn bar Yochài rappresenta il sistema ideale descritto dal profeta ed è adatto solo a persone speciali. Per questo Abayè sottolinea che solo pochi sono adatti a seguire l’opinione di R. Shim’òn bar Yochài. Per la maggioranza è appropriato l’insegnamento di R. Ishma’el che insegna che bisogna studiare Torà e avere un’occupazione. Infatti nel trattatoKiddushìn (82a-b) è insegnato che “Bisogna insegnare al figlio un mestiere pulito e leggero”. [R. Natàn ben Yechiel (Roma, 1036-1106) nel suo ‘Aru’khspiega che “pulito e leggero” significa “un mestiere onesto e dove non si rischia di subire perdite”]. Tuttavia  lo stesso maestro insegna anche che a suo figlio non avrebbe insegnato altro che Torà. Il motivo è che per la maggioranza è appropriato imparare un mestiere e studiare Torà ogni giorno in tempi stabili. Per le persone speciali come suo figlio questo maestro sceglieva invece la strada ideale indicata da R. Shim’òn bar Yochài.

    Su questo argomento R. Ya’akòv Yosef Hakohen ( 1710?- 1783) di Polnoye, che fu il principale discepolo del Ba’al Shem Tov(Ucraina, 1698-1760) nella sua opera Toldòt Ya’akòv Yosef (parashà di Metzora’) la prima opera di chassidismo mai pubblicata, scrive: “Ho sentito dal Mio Maestro la spiegazione del passo talmudico «Molti fecero come R. Shim’òn bar Yochài e non ebbero successo». Questo significa che costoro non fecero come R. Shim’òn bar Yochài per scelta propria ma per fare come facevano gli altri. E in questo modo rimasero senza questo [Torà] e senza quello [un mestiere] perché non sfruttarono le proprie doti naturali e vollero fare quello che facevano gli altri senza averne la capacità” […].  

    CONDIVIDI SU: