8 settembre 1943: una data rimasta impressa indelebilmente nella memoria storica di questo Paese. Al pari di Caporetto, è sinonimo di disastro, ma a differenza della sconfitta dell’esercito italiano sull’Isonzo nel 1917, l’8 settembre fa risorgere ancora oggi un profondo senso di vergogna.
“Non resta che tornare a casa, guardarci nello specchio, e sputarci in faccia”. Questo fu uno dei commenti raccolti dall’antifascista cattolica Carlo Trabucco a Roma subito dopo la proclamazione dell’armistizio e dell’occupazione della città da parte dei tedeschi. E c’era effettivamente di che vergognarsi.
Ricordiamo molto brevemente cosa era successo: dopo tre anni di guerra a fianco dei “camerati germanici”, il governo monarchico (dopo venti anni di complicità con il fascismo) aveva clamorosamente abbandonato la lotta, tentando un complesso gioco diplomatico che avrebbe portato l’Italia, e la dinastia Savoia, al riparo sotto la protezione degli Alleati. Il gioco non riuscì. Il re e il suo primo ministro, il maresciallo Pietro Badoglio, dopo aver reso pubblico l’armistizio, fuggirono all’alba del 9 settembre lasciando le forze armate, nella madrepatria e all’estero, senza ordini precisi. Alla fuga del governo e dell’Alto comando, fece purtroppo seguito il comportamento indecoroso di molti alti ufficiali, con il risultato che circa un milione di militari italiani furono presi prigionieri dai tedeschi. Al 10 settembre, conclusa la resistenza di quegli eroici combattenti che non si piegarono all’arroganza nazista, l’Italia, come entità statale, non esisteva più.
Se per il Paese l’8 settembre fu una tragedia gravida di conseguenze, per la Comunità ebraica italiana, e quella romana in particolare, lo fu ancora di più. Per gli ebrei romani le vicende dell’autunno del 1943 hanno aperto una ferita che ancora non si è richiusa e pongono delle domande che sono ancora oggetto di polemica e, talvolta, di rabbia.
Come reagirono gli ebrei romani alla proclamazione dell’armistizio?
Innanzitutto bisogna ricordare che la Comunità ebraica romana non era un gruppo coeso e omogeneo (pregiudizio che, come purtroppo sappiamo, esiste ancora oggi). Chi aveva ancora contatti, conoscenze e disponibilità economiche aveva avuto la possibilità di capire meglio ciò che stava per succedere e di mettersi al riparo. La stragrande maggioranza degli ebrei, purtroppo, non ebbe queste possibilità. Come quasi tutti gli italiani pensarono che la guerra era effettivamente finita, e che presto tutto sarebbe tornato “come prima”. Per questo motivo furono pochi quelli che si misero in salvo, per questo motivo i dirigenti della Comunità non presero sul serio chi cercò di avvertire che i tedeschi, dopo aver occupato la città, avrebbero tentato di sterminare anche gli ebrei italiani. D’altronde, privi di comunicazioni e di informazioni certe, chi avrebbe potuto credere che tutti gli ebrei, fino all’ultimo neonato, sarebbero stati uccisi in una camera a gas?
Ci fu chi cercò di combattere, come Elena Di Porto, la giovane che si mise a capo di un gruppo di ebrei e tentò di procurarsi le armi per andare a combattere a Porta San Paolo (e sulla quale è stato appena pubblicato un documentatissimo libro di Gaetano Petraglia), ma il suo tentativo fu stroncato dalla polizia italiana che, per quanto possa apparire incredibile, la arrestò.
Neanche l’estorsione dei 50 chili d’oro operata da Kappler mise in crisi la fiducia, o forse la speranza, degli ebrei romani. Fu soltanto con il 16 ottobre che gli ebrei furono costretti a capire ciò che stava succedendo. Fu il 16 ottobre a portare in Italia gli orrori che stavano accadendo nella parte orientale dell’impero nazista. Fino a quella data, gli ebrei romani erano ancora sicuri che in Italia, e soprattutto all’ombra della cupola di San Pietro, certe cose “non potevano succedere”.
Fu l’incrollabile fiducia, una radicata certezza di far parte di una società che avrebbe, comunque, protetto questa piccola minoranza religiosa presente in Italia da migliaia di anni. Fu la fiducia nell’autorità morale della Chiesa cattolica. Fu l’incomprensione del progetto nazista. Fu un insieme di errori, certamente, ma che coinvolsero l’intero Paese.
Ma se per tutti gli italiani l’8 settembre rappresenta l’inizio di un periodo terribile, per la minoranza ebraica, fu l’inizio della Shoah, della catastrofe, dello sterminio. Dopo l’8 settembre, per gli ebrei italiani, nulla poté tornare come prima.
Amedeo Osti Guerrazzi, Storico – Fondazione Museo della Shoah