Parashà di Chukkàt: Le guerre che potevano essere evitate
Dopo quasi quarant’anni nel deserto era arrivato il momento di entrare nella Terra Promessa. Il popolo si trovava a Kadèsh, al confine sud-occidentale del paese. La via più diretta passava attraverso il territorio di Edòm, i discendenti di Esaù. L’Eterno aveva proibito al Moshè di condurre il popolo di forza nel territorio degli edomiti con queste parole: “Comanda al popolo dicendo: Voi state per passare i confini dei vostri fratelli, figli di Esaù, che dimorano in Se’ir; essi avranno paura di voi; state quindi bene in guardia; non fate loro guerra, poiché del loro paese io non vi darò neppure quanto ne può calcare un piede; poiché ho dato il monte di Se’ir a Esaù, come sua proprietà” (Devarìm, 2:4-5).
Il Re di Edòm negò loro il permesso di passaggio. Fu quindi necessario fare un lungo giro tornando a nord dalla Transgiordania e chiedere al re Sichòn il permesso di passaggio per raggiungere il fiume Giordano ed entrare nella Terra di Canaan. Pertanto: “Israele mandò ambasciatori a Sichòn, re degli Emorei, per dirgli: Lasciami passare per il tuo paese; noi non devieremo per i campi, né per le vigne, non berremo l’acqua dei pozzi; seguiremo la via regia finché abbiamo oltrepassato i tuoi confini” (Bemidbàr, 21: 21-22). Sichòn rifiutò di concedere il passaggio e uscì sul campo di battaglia con tutto l’esercito per combattere contro Israele. Il risultato fu devastante: “Israele lo sconfisse passandolo a fil di spada, e conquistò il suo paese dall’Arnòn fino al Yabbòk, sino ai confini dei figli di ‘Ammòn (ibid., 24). Successivamente fu ‘Og, re del Bashàn che scese in campo contro Israele. Anche loro furono sconfitti: “E gli israeliti sconfissero lui, i suoi figli e tutto il suo popolo, sino a che non gli rimase più anima viva; e conquistarono il suo paese (ibid., 35).
R. Naftali Tzvi Yehuda Berlin (Belarus, 1816-1893, Varsavia) nel suo commento Ha’amèk Davàr fa notare che quando Moshè chiese a Edòm il permesso di passaggio attraverso il suo territorio, lo fece dicendo: “Lasciaci per favore passare per il tuo paese, noi non passeremo né per campi né per vigne e non berremo l’acqua dei pozzi; seguiremo la strada pubblica senza deviare né a destra né a sinistra finché abbiamo oltrepassato i tuoi confini” (ibid., 20:17). Nella richiesta a Sichòn non fu chiesto per favore. Fecero sapere a Sichòn che dovevano passare per il suo territorio e se avesse concesso il permesso non sarebbe stato necessario combattere. Moshè non aveva alcun desiderio di conquistare la Transgiordania, un territorio al di fuori della Terra d’Israele. Così avrebbe fatto re David circa quattrocento anni dopo: aveva conquistato la Siria prima di completare la conquista della terra d’Israele e per questo era stato criticato.
R. Berlin commenta che quando Moshè prima della sua morte riassunse gli eventi passati ai figli d’Israele, aggiungendo le sue ammonizioni, disse loro: “Fu allora che c’impossessammo di questo paese; io detti ai Rubeniti e ai Gaditi il territorio che si parte da ‘Aro’er, presso la valle dell’Arnòn, e la metà della contrada montuosa di Gil’ad con le sue città” (Devarìm, 3:12). Si trattava questa di un’ammonizione velata. Se le tribù di Reuvèn e di Gad non avessero preso possesso dei rispettivi territori in Transgiordania, non sarebbero stati esiliati per primi dal re d’Assiria. Moshè aveva già ammonito le due tribù dicendo che se non avessero combattuto con i loro fratelli per la conquista della Terra d’Israele avrebbero peccato (Bemidbàr, 32:23). E l’esilio per mano dell’Assiria arrivò proprio per non aver abitato in Eretz Israel al di qua del Giordano dove la kedushà del paese li avrebbe protetti.
Tutto questo fu causato dal peccato degli esploratori. Se trentotto anni prima fossero andati direttamente in Eretz Israel da Kadèsh Barnea’ , il Re di Edòm non avrebbe negato loro il permesso di passaggio, grazie al fatto che i generali di Edòm avevano il terrore degli israeliti, avendo sentito la notizia del passaggio del Mar Rosso e della distruzione dell’esercito egiziano. Così avrebbero conquistato la Terra d’Israele e l’avrebbero divisa tra le dodici tribù. Anche l’esilio e altre disgrazie sarebbero stati evitati.
Parashà di Balàk: Israele e l’umanità
Dopo aver sconfitto Sichòn e ‘Og, i due re della Transgiordania, gli israeliti erano pronti a fare preparativi per attraversare il fiume Giordano e andare alla conquista della Terra Promessa. Le cose però non andarono come programmato a causa dell’intervento dei moabiti. La parashà racconta quello che fece Balàk, re di Moàv: “Balàk, figlio di Tzippòr, vide quello che Israele aveva fatto agli Emorei. E Moàv ebbe grande paura di questo popolo, che era così numeroso; Moàv fu preso da spavento di fronte agli Israeliti. Quindi Moàv disse agli anziani di Midiàn: «Ora questa moltitudine divorerà quanto è intorno a noi, come il bue divora l’erba dei campi»“(Bemidbàr, 22:2-4).
Rashì (Troyes, 1040-1105) commenta che Balàk disse: “Questi due re, sui quali facevamo affidamento, non sono stati in grado di resistere di fronte agli israeliti. A maggior ragione cosa potremmo fare noi?”.
R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Modiin Illit) in Hearòt ve-He’aròt (p. 176) commenta che Balàk fu impressionato dal fatto che le battaglie degli israeliti erano state vinte in modo sovrannaturale. Questo fu il motivo per cui decise di chiamare Bil’am per maledirli. In verità è probabile che Balàk non avesse motivo di temere il popolo d’Israele. Infatti nella Torà è scritto: “E l’Eterno mi disse: ‘Non attaccare Moàv e non gli muover guerra, poiché io non ti darò nulla da possedere nel suo paese, giacché ho dato ‘Ar ai figliuoli di Lot, [Moàv discendeva da Lot] come loro proprietà” (Devarìm, 2:9). L’Eterno aveva quindi proibito al popolo d’Israele di fare guerra a Moàv. Ed è difficile pensare che Balàk non ne fosse al corrente. Il motivo per cui Balak decise di agire contro Israele è che non poteva tollerare il successo d’Israele e lo disturbava il fatto che vi fosse un nazione più potente della sua.
Questo è anche il motivo per cui il patriarca Ya’akòv disse ai figli di non farsi notare e di evitare di generare invidia presso i vicini (Bereshìt, 42:1). Questo consiglio fu seguito per centinaia di anni in vari paesi dove le autorità comunitarie emisero leggi suntuarie. Si trattava di dispositivi legislativi con lo scopo di limitare il consumo legato all’ostentazione del lusso. Quando il patriarca Ya’akòv disse ai figli di non farsi notare, voleva dire che in un periodo di carestia, quando tutti andavano a cercare derrate in Egitto, non era opportuno farsi vedere come se tutto fosse a posto. Era pertanto opportuno che anche essi andassero in Egitto dove vi era grano in vendita, anche se per il momento avevano cibo in sufficienza.
Rashì fa notare la stranezza del fatto che in questo frangente Moàv si rivolse agli anziani di Midiàn. Egli commenta che Moàv e Midiàn si odiavano da sempre. Questo è testimoniato dal fatto che nella Torà è scritto che Midiàn venne a fare guerra contro Moàv (Bereshìt, 36:35). Edòm venne in difesa di Moàv e Midiàn venne sconfitto. Midiàn e Moàv fecero la pace ai tempi di Bil’am per allearsi contro Israele. Moàv pensò di rivolgersi a Midiàn perché vide le miracolose vittorie di Israele. E sapendo che Moshè, il leader degli israeliti, dopo essere fuggito dall’Egitto, aveva passato molti anni a Midiàn, decise di chiedere a Midiàn informazioni su Moshè. Midiàn rispose che la forza di Moshè era nella sua parola. Ricevuta questa informazione Moàv decise che era opportuno cercare di sconfiggere Moshè e il suo popolo con la parola. Cosi ingaggiò Bil’am per maledirli.
R. Pacifici, citando Rashì, osserva da qui si impara che la nostra forza consiste nella parola, come è scritto: “La voce è la voce di Ya’akòv, e le mani sono le maini di Esau” (Bereshìt, 27:22). Da questo versetto i maestri nel trattato Gittìn (57b) insegnano che nessuna preghiera è efficace nel mondo a meno che qualche membro della discendenza di Ya’akòv non abbia una parte in essa.
R. Pacifici aggiunge che tra le nazioni del mondo vi sono sempre discordie. Tuttavia quando si tratta di odiare Israele dimenticano le discordie e diventano alleati.