È un racconto quasi incantato e fermo nel tempo quello che ci regala Denise Pardo nel suo romanzo “La casa sul Nilo” (Neri Pozza). Non è sempre semplice raccontare la propria storia e i ricordi della propria famiglia, ancor più se quei ricordi rievocano sofferenza. Ma la vera sfida è raccontare se stessi senza annoiare. “La casa sul Nilo” racconta infatti la storia dell’infanzia dell’autrice in maniera quasi fiabesca, riportando alla luce una grande pagina della storia. Il racconto è incentrato sulla storia di una famiglia di ebrei sefarditi, che, arrivati al Cairo negli anni ’30 del Novecento, a un certo punto si vedono costretti a fuggire da quel luogo diventato ormai la loro casa. Un luogo magico, cosmopolita, stimolante in cui c’è spazio e rispetto per tutti. Un Egitto affascinante, che prende forma pagina dopo pagina, diventando un luogo del cuore per la scrittrice e per il lettore. È una storia famigliare, a cui ci si affeziona e che dipinge dolcemente un quadro interessante e mai noioso della Comunità ebraica del Cairo, e di tutti coloro che orbitavano intorno a quel microcosmo. Unico difetto? Finisce troppo in fretta.