Lo scorso 7 aprile è stato inserito nei cataloghi di Netflix Transatic, la miniserie che ripercorre le imprese dell’Emergency Rescue Committee guidata dal giornalista americano Varian Fry per salvare artisti e intellettuali dal Terzo Reich. Sebbene sia tra i programmi più visti, ha suscitato polemiche.
Suddivisa in sette episodi, la serie tv, che è stata diretta da Anna Winger (Unhortodox) e Daniel Hendler (Margin Call), è basata sul libro The Flight Portfolio di Julie Orringer. Tuttavia la serie propone una lettura più ironica e avventurosa della vicenda, che è ambientata nella Marsiglia gestita dal governo filonazista di Vichy durante l’invasione tedesca in Francia.
La storia
La missione di salvataggio di Varian Fry, giornalista di New York nato nel 1907, inizia quando Parigi cadde sotto l’invasione delle forze naziste. Questo causò un massiccio esodo di rifugiati nel sud della Francia. Il 4 agosto Fry decise di partire per l’Europa con l’obiettivo di guidare un’audace operazione di salvataggio. Fondò così l’Emergency Rescue Committee (ERC) con l’obiettivo di salvare celebri artisti, scrittori e intellettuali d’Europa che erano fuggiti nel paese.
Il giornalista americano arrivò a Marsiglia con 3.000 dollari legati a una gamba e una lista di 200 artisti e intellettuali ritenuti particolarmente in pericolo. Lì incontrò il dottor Frank Bohn, un rappresentante della Federazione americana del lavoro e del Comitato ebraico del lavoro, anch’egli in Francia per assistere nell’evacuazione dei rifugiati, Albert Hirschman, un umanitario e rifugiato ebreo-tedesco, che successivamente divenne parte integrante della squadra, e Lena Fischmann, che divenne la segretaria di Fry.
In meno di un anno e mezzo, Fry e il suo piccolo gruppo riuscì ad aiutare almeno 1.500 rifugiati a fuggire dalla Francia verso la Spagna e fornì supporto ad altri 2.000, compresi molti ebrei tra cui: gli artisti Marc Chagall e Max Ernst, la filosofa Hannah Arendt e il ricercatore medico vincitore del premio Nobel Otto Meyerhof.
Le polemiche
Nei sette episodi, le missioni di salvataggio ruotano attorno a una serie di storie d’amore immaginarie e diversi punti della trama sono stati completamente inventati.
Questo grado di finzione ha suscitato non poche critiche, tra cui quella di Pierre Sauvage, presidente del Varian Fry Institute, che ha definito il trailer dello spettacolo “scioccante”. “Ci sono linee rosse?” si è domandato Sauvage. “Si può inventare a piacimento, senza preoccuparsi della realtà della storia, della falsa impressione che le persone avranno – e del modo in cui influisce sulla vita privata delle famiglie delle persone ritratte?”
Anche il quotidiano israeliano Haaretz ha aspramente criticato la miniserie. “Trasforma quella che fu una tragedia in una parodia”, ha titolato il giornale in un suo articolo, nel quale definiscono le sette puntate di Transatlantic “un insulto alle intrepide anime” che rischiarono la vita per aiutare i profughi a sfuggire alla furia nazista. Inoltre Haaretz mette a raffronto la serie con il breve segmento sulle gesta di Fry nel documentario di Ken Burns sulla Shoah: “Mi chiesi allora quando Hollywood si sarebbe decisa a drammatizzarne la storia”, ha scritto il critico del giornale, deluso per come sono invece andate le cose.
La regista ha reagito alle polemiche. “La nostra è una drammatizzazione, non un documentario”, ha detto Anna Winger. Secondo lei l’obiettivo era di far conoscere a un vasto pubblico “l’eroismo di Fry” e del suo piccolo gruppo di expat americani, dei profughi europei e di alcuni francesi anche a costo di sfumare, abbellire e omettere fatti storici.