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    Le opere del Conscious Collective al MAXXI

    Dal 17 marzo al 4 giugno, il MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma ospita tre opere del Conscious Collective, collaborazione artistica nata dalla sinergia di Tsibi Geva, Maria Saleh Mahameed e Noa Yekutieli. I tre artisti, nonostante le differenze di genere, generazione, etnia e religione sono accumunate da uno stesso luogo d’appartenenza: Israele. I linguaggi di Geva, Mahameed e Yekutieli rappresentano una realtà attraversata da guerre e conflitti, utilizzando tecniche e materiali differenti, specchi della moltitudine vissuta dagli artisti.

    Il Conscious Collective affonda le proprie radici teoriche nel concetto junghiano di “inconscio collettivo”, contenuto psichico universale che accomuna tutti gli esseri umani, e nell’“estetica relazionale” di Nicolas Bourriaud. L’arte diventa così un’esperienza individuale e al tempo stesso collettiva dell’entropia terrena. Le opere esposte appaiono al primo sguardo estremamente diverse tra loro, ma sono legate dall’amicizia degli esecutori. Il lavoro è il frutto ultimo di un legame, di una relazionalità che rappresenta una connessione nella frattura. 

    “Conscious collective indaga come, nonostante il caos e le conseguenti frustrazioni causate dalla vita contemporanea, sia possibile rinvenire un senso di comunanza attraverso un’interrogazione condivisa dell’insieme delle relazioni umane e del contesto sociale in cui esse si inseriscono”. Queste le indicazioni di lettura di Shai Baitel, direttore artistico del Modern Art Museum (MAM) di Shangai, che guidano i visitatori nel corso dell’esposizione. 

    Conosciamo meglio gli artisti del collettivo. Tsibi Geva nasce nel Kibbutz di Ein Shemer negli anni ’50, ma vive tra New York e Tel Aviv. Erede di uno degli esponenti del Bauhaus israeliano, si fa interprete di una corrente espressionista che esplora l’identità israeliana in tutte le sue forme. L’opera in mostra al MAXXI è “Where I Come From”, un dipinto a incastri in cui le singole tele formano un’autonomia olistica di connessioni e disconnessioni. Maria Saleh Mahamed lavora a Ein Mahel, in Israele. La madre ha origini ucraine e il padre palestinesi. L’artista incarna la cultura della città araba più popolosa d’Israele, trasponendone nelle opere la complessa identità. Mahamed propone “Ludmilla”, un’opera del 2022, che racconta un paesaggio immaginario in cui si coniugano gli elementi della sua infanzia e le memorie materne. Una raccolta fluida di elementi tra paesaggi sovietici e panorami mediorientali. Noa Yekutieli, ultimo membro del gruppo, nasce negli USA, a Los Angeles, negli anni Novanta, da padre israeliano e madre giapponese. Lavora tra gli Stati Uniti e Israele, proponendo una pratica interdisciplinare che unisce elementi scultorei al taglio della carta giapponese. “Where we stand” crea un paesaggio naturale incorniciato da finestre di carta. Un simbolo della continua apertura e chiusura degli occhi dell’uomo sui problemi del mondo. L’esibizione rappresenta così un’alternativa a volgere i nostri pensieri altrove e tentare, al contrario, di concentrarsi sul significato di un’identità israeliana tout-court.  

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