La parashà inizia con queste parole: “Quando il Faraone mandò via il popolo, Dio non li diresse sulla via che passava per il paese dei Filistei anche se era la più breve; perché Iddio pensò che se il popolo avesse visto combattimenti, avrebbe cambiato idea e sarebbe ritornato in Egitto” (Shemòt, 13:17).
R. Eliyahu Benamozegh (Livorno, 1823-1900), in Panìm la-Torà chiede per quale motivo nella Torà è scritto “Quando il Faraone mandò via il popolo” e non “Quando Israele uscì dall’Egitto”, come nel secondo salmo dello Hallèl. Egli spiega che così è scritto nella Torà perché gli israeliti furono mandati via dal Faraone e dagli egiziani che temevano di morire durante la piaga dei primogeniti. Se fossero usciti grazie a miracoli e a dispetto degli egiziani, gli israeliti non avrebbero mai pensato di poter tornare in Egitto senza conseguenze negative. Ora invece essendo usciti perché mandati via dagli egiziani, avrebbero potuto pensare di ricevere una buona accoglienza se fossero tornati a lavorare in Egitto di loro spontanea volontà. Per questo fu opportuno allontanare il più possibile gli israeliti dal pensare in questo modo facendoli viaggiare per una strada dalla quale sarebbe stato difficile tornare.
R. Yosef Shalom Elyashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) in Divrè Aggadà (p. 163) cita due versetti. Il primo con le parole dell’Eterno a Moshè: “Quando farai uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio sopra questo monte” (Shemòt, 3:12); il secondo con le parole “L’Eterno parlò a Moshè e ad Aronne; diede loro istruzioni riguardo ai figli d’Israele e al Faraone re d’Egitto, in modo che fossero in grado di far uscire i figli d’Israele dal paese d’Egitto.” (ibid., 6:13). Per quale motivo per esprimere lo stesso concetto vi sono due versetti?
R. Elyashiv afferma che il termine “Egitto” nella Torà ha due significati: in alcuni casi connota il paese d’Egitto, mentre in altri casi è usato come un nome collettivo per indicare il popolo che abita in Egitto. Un esempio della parola Egitto usata per denotare gli egiziani è in due versetti che descrivono la situazione degli israeliti di fronte al Mar Rosso, con gli egiziani dietro di loro: “Ed ecco che l’Egitto marcia dietro di loro” (ibid, 14:10). Lo stesso termine collettivo è usato nel versetto “Così come avete visto l’Egitto oggi non lo vedrete più”.(14:13). Quando invece nella Torà è scritto “di far uscire i figli d’Israele dal paese d’Egitto” (6:13) si intende l’uscita dal territorio egiziano.
Tra le due espressioni vi è una grande differenza. Quando una persona abita per molti anni in un paese, ne assorbe l’atmosfera, la cultura e le usanze. Anche quando lascia questo paese continua a portare con se questo bagaglio e a sentire l’influenza del paese in cui ha abitato.
Il 15esimo giorno del mese di Nissan i figli d’Israele uscirono dal paese d’Egitto. Lasciarono il territorio egiziano, ma non uscirono ancora dall’Egitto. Questa uscita avvenne solo dopo aver passato il Mar Rosso [e aver visto gli egiziani affondare nel mare]. Solo in quell’occasione si avverò la promessa “Quando farai uscire il popolo dall’Egitto”(3:12).
Per commemorare queste due uscite, di Pèsach abbiamo la mitzvà di osservare due giorni festivi: il primo e il settimo giorno (Shemòt, 12:16). Il primo giorno per commemorare l’uscita dal territorio egiziano; il settimo giorno per commemorare l’uscita dall’influenza culturale dell’Egitto. Questa seconda uscita avvenne solo al settimo giorno dall’uscita dall’Egitto dopo che i figli d’Israele videro la cavalleria e l’esercito egiziano sprofondare nel Mar Rosso e “Il popolo ebbe timore dell’Eterno e ebbero fede nell’Eterno e nel suo servo Moshè” (Shemòt, 14:31).