La Coppa del Mondo che si sta tenendo da più di settimane in Qatar è diventata sin da subito una delle più discusse, non solamente sul campo, ma anche al di fuori. La presenza di israeliani fino a qualche mese fa non era neanche certa. Solamente dopo lunghe trattative tra i due paesi, mediate dalla FIFA, si è giunti ad un accordo: i tifosi possono andare in Qatar, con voli diretti dal Aeroporto Ben Gurion, solo dopo aver richiesto un “visto speciale”. Un evento storico, per due paesi che si considerano nemici.
Ma i tifosi e i giornalisti israeliani sono realmente i benvenuti in Qatar? Sembra proprio di no. I tantissimi tifosi provenienti dal mondo arabo, anche se con alcune eccezioni, non hanno perso mai l’occasione di deridere, disturbare e addirittura insultare i cittadini israeliani. I giornalisti per poter svolgere il proprio lavoro come si deve, ed evitare di essere ulteriormente bersagliati, hanno dovuto dire di appartenere ad altri paesi occidentali.
Questo è stato anche il caso di Raz Shechnik, giornalista di Yedioth Ahronoth, che negli ultimi giorni ha lavorato come inviato per il quotidiano israeliano insieme al fotografo Oz Moalem.
Il giornalista, per denunciare quanto stesse accadendo a lui e ai tanti colleghi presenti nel paese del Golfo, ha pubblicato un video sui social, diventato immediatamente virale. Per approfondire ciò che gli è successo, Shalom ha intervistato Shechnik il giorno del suo rientro a Tel Aviv.
I tweets in cui denunciava quanto stava accadendo in Qatar hanno fatto molto discutere in Israele e nelle comunità ebraiche della Diaspora. Prima di atterrare a Doha, si aspettava una reazione del genere da parte dei tifosi ogni volta che diceva di essere israeliano?
Non mi aspettavo che fossero amichevoli con noi, che mi abbracciassero e mi offrissero dolci, so che è un paese nemico, sostengono Hamas, ma non mi aspettavo neanche che mi accadessero questo genere di cose. Sono venuto come giornalista, e quando copri un evento mediatico come questo, ci sono delle regole e devono lasciarti fare il tuo lavoro, e non è stato possibile farlo. Era un ambiente molto ostile.
Che cosa è successo in queste due settimane?
Ogni qualvolta ci identificavamo come israeliani la gente ci gridava “Fuck Israel”, “Israele brucerà”, “Palestina libera” e maledizioni di ogni genere. E questo non succedeva solo allo stadio, ma anche fuori e nei centri commerciali, dove la gente ci riconosceva. Hanno anche cercato più volte di poggiarmi bandiera palestinese sulla schiena, così da scattare una foto ridicola e metterla sui social, mi sono sentito molestato, hanno fatto in modo che io non potessi svolgere come volevo il mio lavoro, così ad un certo punto abbiamo deciso di identificarci come provenienti dell’Ecuador per una “missione giornalistica”.
Quante volte le è capitato di ritrovarsi in questo tipo di situazioni?
Ogni volta che andavamo allo stadio, e siamo andati tutti i giorni. Anche ieri hanno cercato di coinvolgermi in una conversazione, persino in una rissa. Ma ho cercato di evitarli ogni volta.
Ma una volta ha risposto, come si vede nel suo tweet. Che cosa è successo?
All’inizio ho cercato di evitarli, come ho fatto di solito, dicendo che venivamo dall’Ecuador ed eravamo lì per una “missione giornalistica”. Ma quando un ragazzo, un cameraman accreditato venuto dai territori palestinesi, ha continuato a molestarmi, ho deciso di rispondergli e questo è diventato virale. Sono felice per questo, sono contento della mia risposta. Ho ricevuto telefonate e messaggi da tutto il mondo da colleghi giornalisti e tifosi di calcio. Ho attirato molta attenzione, forse troppa.
Di solito il ruolo del giornalista è quello raccontare le storie e non diventare egli stesso una storia. Come si sente ad essere diventato lei stesso la notizia?
Assolutamente! E preferisco che non sia così. Non volevo essere io la notizia, ma so che in un certo senso sono stato costretto a diventarlo. E spero che, ora che è tutto finito, tornerò ad essere un giornalista e non la storia di altri giornalisti.
Hai mai avuto esperienze simili in altri eventi sportivi?
Ho partecipato a molti eventi sportivi nella mia carriera: la finale di Europa League, alle Olimpiadi, gli Europei, i Mondiali e la Champions League. E non ho mai avuto esperienze come quelle avute in Qatar. È la prima volta e spero che sia anche l’ultima.
Sapendo che siete israeliani, i tifosi hanno solo reagito male o ci sono stati casi in cui veniva accolto positivamente?
Si sono comportati tutti bene, tranne i tifosi dei paesi arabi, anche se c’è stata un’eccezione: i tifosi dell’Arabia Saudita ci hanno accolto molto bene e ci hanno invitato a visitare il paese. Sono molto contento di questo.
Le autorità e la FIFA sono a conoscenza della cattiva atmosfera che circonda giornalisti e tifosi israeliani?
Non sono a conoscenza di quello che ci sta accadendo e io non ho voluto lamentarmi con loro per non creare problemi. Devo dire che non ho avuto mai paura, però non è stato un bell’ambiente, era ostile e spiecevole.
Ha mai avuto la sensazione di essere in pericolo?
Non mi sono mai sentito in pericolo, questo perché sapevo che non mi avrebbero fatto qualcosa di veramente brutto perché il regime in Qatar non tollera cose del genere. Quindi mi sentivo al sicuro, anche se le molestie diventavano fisiche.
Vorrei commentare con lei cosa sta succedendo ai Mondiali: per la prima volta una donna ha arbitrato una partita, in un paese arabo peraltro; il Belgio e la Germania sono uscite nella fase a gironi. Sta diventando sempre di più il Mondiale delle sorprese. Se lo aspettava?
La Coppa del Mondo quest’anno è folle! L’Arabia Saudita, in fondo alla classifica, ha vinto contro l’Argentina di Lionel Messi. Già questo è qualcosa di storico. Poi anche il Giappone che ha battuto la Germania, è stato fantastico. Penso che sia davvero una buona Coppa del Mondo. Devo dire che il Qatar ha organizzato tutto molto bene. Sai, non ho molte cose positive da dire sul regime qatariota e su come tratta le donne, la comunità LGBTQ e gli immigrati. Ma devo dire che è una delle migliori organizzazioni che io abbia mai visto.