Lo incontriamo nel suo ufficio a pochi giorni dall’inizio del suo mandato. L’Ambasciatore dello Stato d’Israele in Italia Alon Bar, diplomatico di lungo corso, che ha partecipato tra l’altro alla commissione per la negoziazione dell’accordo sul gas con il Libano, ha già molto chiari gli obiettivi della sua missione. “Puntiamo a una crescita della collaborazione tra Israele e Italia. Con le comunità ebraiche c’è piena sintonia e condivisione delle sfide”. Ecco la nostra intervista all’Ambasciatore Bar.
Quali sono le sfide, gli obiettivi, che intende prefiggersi con il suo nuovo mandato?
C’è già una buona cooperazione tra Israele e Italia, che è andata poi rafforzandosi con le elezioni nei due Paesi. Siamo molto felici di lavorare con il governo italiano. Già lo abbiamo fatto con il governo precedente e speriamo di fare lo stesso con quello appena eletto. Israele e Italia possono lavorare bene insieme, soprattutto Israele può essere una risorsa importante per l’Italia in tutti i campi, in questo senso puntiamo ad una crescita. La sfida è che Israele e Italia stabiliscano una vera leadership, che l’Italia diventi un alleato d’Israele, soprattutto nell’Unione Europea, vorrei inoltre vedere una collaborazione sempre più intensa e obiettivi condivisi.
Ambasciatore, lei ha fatto parte del team che ha negoziato gli accordi sui confini marittimi e l’estrazione del gas tra Israele e Libano, il che sembra essere un altro passo importante, in una stagione piena di grandi cambiamenti, come quello degli Accordi di Abramo. Pensa che l’accordo con il Libano abbia una rilevanza storica?
Questo è un accordo importante. Gli Accordi di Abramo sono una cosa ben diversa, perché rappresentano la normalizzazione dei rapporti tra Israele gli Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Marocco. Tuttavia, aver raggiunto un accordo del genere con il Libano credo sia un passo avanti per Israele, per il Libano stesso e in generale per il bene di tutti.
Parliamo del suo rapporto con la comunità ebraica di Roma, che ha un forte legame con Israele: sin dall’inizio del suo mandato si è subito apprezzata la sua intensa partecipazione alle numerose attività delle comunità in Italia. Quali sono le sfide che condividete con le comunità?
Quando sono arrivato ho trovato una comunità molto attiva qui a Roma, con un forte legame con Israele, così come a Torino, a Milano, luoghi che ho avuto il piacere di visitare. Sono stato accolto molto bene dalla presidente della comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello e dalla presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni. Questa è una comunità così integrata nella società italiana che ha però un’identità molto forte e Israele ne fa parte. Lavoriamo e lavoreremo insieme. In generale però ho notato che molti italiani, anche non ebrei, amano Israele, per ragioni diverse. Le sfide che la CER e l’Ambasciata affronteranno sono congiunte: l’antisemitismo, il razzismo. Quando Israele viene demonizzato ed emarginato, vedo come le comunità ebraiche italiane ne risentono e reagiscono. Le comunità ebraiche italiane hanno un rapporto molto speciale con l’Ambasciata, e questo l’ho visto perché ho potuto prendere parte alle festività ebraiche, ma anche alla cerimonia del quarantesimo anniversario dall’attentato alla Sinagoga di Roma del 9 ottobre ‘82. Sono rimasto davvero colpito dalla donazione del Sefer Torah dedicato alla memoria di Stefano Gaj Taché e anche dalla presenza di tutte le personalità politiche e del Presidente Mattarella alla cerimonia. Per me il lavoro di Ruth e di Noemi è davvero prezioso.
Un elemento della sua storia l’avvicina ancor di più a questa comunità. Lei è nato e cresciuto nel kibbutz Sasa, con cui molti ebrei romani hanno un rapporto speciale.
Sono felice di sentire questo interesse per il kibbutz, per Sasa particolarmente. Quando gli italiani giunsero a Sasa ricordo che fu davvero un’iniezione di energia per il nostro kibbutz. Un kibbutz istituito da americani, ma molti di noi come i miei stessi genitori erano ebrei, nati in Israele, che però venivano dall’Europa dell’Est. Così un gruppo di italiani dell’Hashomer portò una ventata d’energia. Ho dei bellissimi ricordi del kibbutz e ribadisco che sono fiero di sentirne parlare così bene. Mio fratello vive lì con sua moglie, spesso sento una vera e propria nostalgia di Sasa. Molti dicono di avere traumi per essere nati in un kibbutz, mentre per me è qualcosa che mi rende orgoglioso.
Ambasciatore, ci siamo incontrati ad Arte in Nuvola, dove erano presenti installazioni di grandi artisti israeliani. Cosa ha di speciale la cultura, l’arte israeliana, così da essere una vera e propria Ambasciatrice dell’identità israeliana nel mondo?
Io credo che la cultura israeliana possa connettersi molto bene con le persone. Molto spesso il modo migliore per conoscere Israele è proprio la sua arte. La forza d’Israele è che è composta da un mix di culture, è oggettivamente questo che la rende interessante e unica. La sua energia che si genera da persone diverse che vengono da luoghi diversi. Vorrei tanto che i giovani e anche gli artisti guardassero a Israele come un luogo stimolante e moderno per il futuro per quello che fanno e che pensano di fare.