Il dramma e le conseguenze delle leggi razziali sono il fulcro del lavoro teatrale “Sciabbadai”, scritto e diretto da Gabriele Marcelli. Lo spettacolo, patrocinato dalla Società Cooperativa Arteidea Eventi e Servizi e dal Comune di Ariccia, è andato in scena presso il Teatro Comunale ‘G.L. Bernini’ di Ariccia.
È il 1943. Lino Colombo è stato attore, cantante e cabarettista fino all’emanazione da parte del regime fascista delle leggi razziali nel 1938. Ciò gli ha cambiato la vita, impedendogli di proseguire la sua brillante carriera: la sua unica colpa era di essere ebreo e per questo costretto a nascondersi per sfuggire alla deportazione. La sua vita personale e artistica perde valore, nulla ha più senso per lui. L’incontro con il parroco Don Mario e con Gino, un bambino di 9 anni, lo aiuterà a riscoprire la sua forza interiore e a tornare protagonista del suo destino.
Tra i presenti alla rappresentazione teatrale Massimo Finzi, Assessore alla Memoria della Comunità Ebraica di Roma. “Uno spettacolo delicato e commovente – ha detto Finzi – che racconta bene l’intreccio della grande storia con il destino dei singoli, che di quella storia sono stati vittime e protagonisti”. Dopo aver portato i ringraziamenti e i saluti della Comunità Ebraica, Finzi ha proseguito il suo intervento con una domanda: “L’Italia repubblicana, nata dalla lotta all’antifascismo, ha davvero fatto i conti con il suo passato fascista? O, peggio, ha mai avuto intenzione di farlo davvero?”, sottolineando “il ruolo del Manifesto della Razza, propedeutico alle leggi razziali, della responsabilità morale dei firmatari, che nel dopoguerra hanno continuato indisturbati le loro carriere, dei danni inferti alla cultura, alle arti, alle scienze provocati dalle leggi del 1938, dell’assurda nomina di Gaetano Azzariti a Presidente della Corte Costituzionale, dopo aver ricoperto sotto il fascismo il ruolo di Presidente della commissione interministeriale della demografia e della razza e molto altro ancora”.
Alla fine della rappresentazione “molti spettatori hanno manifestato il loro sgomento. – ha spiegato Finzi – Conoscevano la storia della persecuzione ebraica, ma non le condizioni che l’hanno resa possibile né tantomeno che molti dei responsabili di quelle scelte scellerate non ne hanno mai dovuto rendere conto né dal punto di vista legale, né da quello morale”.
“E c’è stato anche spazio per un ultimo momento di commozione: mi aveva colpito la precisione e la devozione con le quali il bambino aveva recitato lo Shemà durante lo spettacolo, mi sembrava andasse oltre l’interpretazione di un attore – ha raccontato – Infatti, con grande sorpresa, ho scoperto che il Gino nella vita reale è Jonah, figlio del regista e di Michelle Totah, una cugina ebrea americana del nostro dott. Cesare Efrati, rabbino ed ottimo gastroenterologo”.