Venerdì scorso allo scoccare della mezzanotte è entrato ufficialmente in carica come primo ministro Yair Lapid, leader del partito centrista Yesh Atid e che nel governo presieduto da Naftali Bennett ha ricoperto il ruolo di ministro degli Esteri. Lapid, che sarà il quattordicesimo premier, anche se pro tempore, dalla fondazione dello Stato ebraico, rimarrà in carica per più di quattro mesi. Alla fine del suo mandato, il primo novembre, si terranno le quinte elezioni in tre anni. Durante il suo mandato dovrà affrontare diverse questioni importanti: la visita del presidente degli Stati Uniti Biden a metà luglio e la sicurezza nazionale, in particolare il nucleare iraniano.
Per approfondire i diversi aspetti che sono legati al nuovo assetto, seppur temporaneo, della leadership politica israeliana, Shalom ha intervistato la giornalista e scrittrice Fiamma Nirenstein.
In che posizione si trova Yair Lapid adesso che è il nuovo primo ministro dello Stato d’Israele?
Si trova nella posizione che aveva sempre desiderato e che già da molto tempo aveva dichiarato di voler occupare. Sicuramente farà del suo meglio per sfruttare i quattro mesi che ha di fronte. Un lasso di tempo molto ampio per un primo ministro di transizione in piena campagna elettorale, che però può risultare un vantaggio o uno svantaggio a seconda dei risultati di novembre. Di certo lavorerà per restare premier anche dopo le elezioni.
Che tipo di politico è Lapid?
Si ispira molto alla sua famiglia. Il padre, Tommy Lapid, che era un radicale di origine serba, ha fatto dell’affermazione dei diritti del popolo ebraico, della memoria della Shoah e della laicità, le sue più grandi battaglie politiche.
Yair Lapid, sin dal suo ingresso in politica, è stato in polemica con la parte religiosa di Israele e ha sempre sostenuto l’idea che i religiosi debbano partecipare a pieno alla difesa dello Stato ebraico, facendo il servizio militare.
Nel suo modo di fare politica, è evidente come intenda seguire le orme del padre. Non è un uomo di sinistra, però di fatto quello che lui farà, sarà muoversi su un programma elettorale di sinistra, perché questo è l’unico bacino di elettori a cui può attingere.
Per quanto riguarda la politica internazionale, cosa farà Lapid in questi quattro mesi?
Ha in mano una magnifica arma di successo ereditata dal governo Netanyahu, quella dei Patti di Abramo, che probabilmente, come lui ha affermato nel suo discorso di insediamento, si estenderanno, diventando più grandi e più importanti.
È un’importante novità per Israele vedersi accettata dai paesi arabi circostanti che non accettano il veto palestinese.
Lapid probabilmente potrà godere di una estensione all’Arabia Saudita, che è la ragione per cui Biden verrà in visita in Medio Oriente dal 13 al 16 luglio.
Sarà quindi importante vedere come Lapid utilizzerà questa occasione, cioè la presenza del presidente americano. E capire come si comporterà Biden riguardo a due temi a cui Israele da una forte impronta: la possibile apertura di un consolato palestinese a Gerusalemme, una mossa politica che diminuirebbe la sovranità israeliana, e la questione principe, la più importante di tutte, quella dell’Iran, con cui è ancora in gioco un accordo, a cui Lapid, come i precedenti premier, si oppone fermamente.
Parliamo delle prossime elezioni, le quinte in meno di tre anni, che clima prevede per questa campagna?
Le elezioni vedono in campo due leader e due mondi completamente diversi. Lapid rappresenta la classe media che punta alla novità dopo tanti anni di gestione del Likud. Raccoglie il desiderio di cambiamento che, di quando in quando, caratterizza tutte le democrazie. Rappresenta anche uno spaccato della popolazione che sogna, secondo me in maniera piuttosto irrealistica, una Israele normalizzata. Tuttavia, come si è capito anche dal discorso di ieri, vuole dimostrare che ha capito che questa terra ha bisogno di un amore diverso e speciale, perché è l’unico paese occidentale democratico che vuole difendere, oltre alla sua democrazia, anche il suo diritto stesso alla sopravvivenza.
Poi c’è Netanyahu, uno statista noto in tutto mondo, con una personalità e una cultura che pochi hanno. I sondaggi vedono il Likud come il principale partito israeliano, al momento però la coalizione guidata dall’ex premier non arriverebbe ai 61 seggi necessari per la maggioranza.
Il tema della sicurezza sarà centrale come sempre. Se si va a guardare la biografia delle due persone, Netanyahu ha una famiglia in cui è di casa l’eroismo. Suo fratello Yoni fu ucciso ad Entebbe e lui stesso ha partecipato a tante operazioni della Sayeret Matkal restando ferito diverse volte. Mentre Lapid è il primo premier israeliano senza “record” militari, avendo lui servito nell’esercito solo nell’ambito dell’informazione, e quindi deve riuscire l’esame nel campo della sicurezza.
Netanyahu quando è stato primo ministro ha fatto pochissime guerre, ha siglato gli Accordi di Abramo, ha fatto crescere l’economia, rendendo Israele un paese leader nelle tecnologie più avanzate, e ha lasciato al governo Bennett un paese vaccinato. Per quanto il fronte anti-Bibi sia forte e determinato, tuttavia ha a che fare con un personaggio il cui carisma permane in Israele e nel mondo.
Quali saranno i cavalli di battaglia dei due schieramenti durante il periodo di campagna elettorale?
Sarà una campagna dura ed aggressiva. Yair Lapid verrà sicuramente accusato dai partiti di destra per l’alleanza di governo con il partito Ra’am, che non ha mai disconosciuto il terrorismo in modo convincente ed è inoltre un partito religioso islamista che appartiene alla Fratellanza Musulmana. E per aver formato un governo che ha fornito un’immagine di contrasti e dubbi, dove le forze implicate nella coalizione sono state litigiose e spaccate.
Dall’altra parte Netanyahu verrà accusato di voler scalfire la democrazia israeliana, in cui tutti hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri, per la sua volontà di portare con sé nella prossima coalizione dei partitini di estrema destra, aggressivi e discriminatori nei confronti del mondo arabo.
In definitiva le prossime elezioni si giocheranno sulla volontà degli israeliani di avere, o meno, Netanyahu al governo. Il voto è ancora molto fluido. I partiti di destra e di centro potrebbero tornare ad allearsi col Likud, oppure convincersi che Lapid darà loro garanzie sufficienti. La questione è tutta da definire. I due contendenti stanno solo affilando le armi.