La caduta di Bennett
Quasi esattamente un anno dopo la sua costituzione, il governo Bennett
cade. Ieri sera Naftali Bennett e Yair Lapid hanno annunciato di voler andare a
nuove elezioni, presentando loro la legge di scioglimento della Knesset che il
sistema politico israeliano richiede per indire le elezioni, prima che possa
farlo l’opposizione mercoledì come si proponeva. Sembra un gesto di orgoglio ma
è in sostanza una resa. Se non ci saranno nuovi colpi di scena, Israele andrà
alle quinte elezioni generali in tre anni e mezzo il 25 ottobre, dopo la
conclusione del ciclo delle feste autunnali. Il governo di tutti, che doveva
gestire il paese “unitariamente” non ha retto alle sue contraddizioni.
Le cause prossime
Si conclude così un mese di agonia fatta di sconfitte, di leggi non
approvate al vaglio parlamentare, di nomine non ratificate, di parlamentari che
sono usciti dalla maggioranza a destra e a sinistra. Il caso più importante è
quello di una legge che dev’essere periodicamente approvata per estendere certi
aspetti della legislazione israeliana ai territori di Giudea e Samaria. Era
necessario votarla di nuovo entro giugno fra l’altro per permettere ai
cittadini israeliani che vi abitano di avere la sicurezza sociale come tutti
gli altri, per estendere loro la giurisdizione civile e poter arrestare secondo
la legge israeliana i terroristi. Normalmente questa legge viene riapprovata
senza problemi ogni cinque anni, ma questa volta la maggioranza conteneva
partiti contrari ideologicamente al governo israeliano di Giudea e Samaria (gli
arabi di Ra’am e gli ultrasinistri di Meretz). Mentre i loro dirigenti erano
disposti a passare sopra le loro convinzioni pur di continuare a escludere la
destra dal governo, alcuni loro parlamentari non erano disposti a rinunciare
all’ideologia. Il governo sperava in un soccorso dell’opposizione di destra,
che invece è d’accordo sulla logica della legge, ma naturalmente questa ha
rifiutato di fare da stampella a un governo detestato e a un primo ministro
considerato come un traditore della destra e non l’ha votata. Si è certificato
così che la maggioranza non c’era più. Di fronte alla presentazione di una
mozione di sfiducia nei prossimi giorni, i leader del governo hanno deciso di
gettare la spugna.
Le cause remote
Questa vicenda è uno dei temi di divisione della maggioranza, importante e
urgente; ma ve ne sono molti altri già emersi: le costruzioni negli
insediamenti ebraici e i finanziamenti di quelli illegali dei beduini, la
difesa dal terrorismo e l’atteggiamento verso l’Iran, l’economia e la
religione, la giustizia e la politica estera. Cioè praticamente tutto. In
realtà il governo Bennett è stato costituito mettendo assieme delle forze
politiche che non erano d’accordo su niente, salvo che sul tentativo di tener
lontano dal potere il leader più popolare del paese, cioè Bibi Netanyahu. Ma a
un governo non basta occupare il potere, deve governare e cioè fare scelte. Ma
su ogni scelta concreta, la maggioranza era destinata a dividersi, perché le
convinzioni erano opposte.
Che succede adesso
Salvo improbabili colpi di scena (per esempio una mozione di sfiducia
costruttiva che nomini un nuovo governo evitando le elezioni), prima di tutto
scattano gli strani accordi di coalizione che hanno presieduto alla nascita del
governo. In seguito a questi Bennett non gestirà l’ordinaria amministrazione
nei quattro mesi fino alle elezioni (o più probabilmente sei fino alla
costituzione del nuovo governo). Gli subentrerà subito Yair Lapid, come avrebbe
dovuto fare comunque a metà legislatura se essa fosse durata. Sarà lui a
incontrare Biden e a gestire le difficili condizioni di sicurezza di qui a
ottobre (o a gennaio), inclusa la scelta se e quando attaccare gli impianti
atomici iraniani. Ci sarà poi un gran balletto sulla presentazione delle liste
elettorali: sia il partito di Bennett che quello di Saar, nell’ex maggioranza,
rischiano di non superare la soglia del 3,5% necessaria per entrare al Knesset.
E’ possibile che si uniscano, e così Meretz e i laburisti. Si dice anche che il
partito di Bennett probabilmente si spacchi e che lo stesso leader non si
candidi. I sondaggi assegnano una vittoria alla destra, ma forse non così
amplia per costituire un governo senza i pezzi di destra transfughi (Bennett,
Sa’ar, Lieberman). Insomma i giochi sono del tutto aperti. Nel frattempo è
probabile che Lapid governi, senza maggioranza, secondo la sua ideologia di
sinistra, mentre il paese è orientato al 60% almeno sulla destra. C’è
insomma il rischio di forti tensioni. L’ultimo tema da citare è quello della
legge sulla Giudea e Samaria, che verrà automaticamente prorogata, essendo
caduto il governo prima della sua scadenza.
Il sistema politico israeliano è malato?
Certamente sì, si tratta di una malattia comune a molti sistemi politici
occidentali: come la Francia, che non ha al momento una maggioranza; l’Italia
con un governo dalla maggioranza ampia e rissosissima; gli Usa col presidente
meno popolare da decenni. Eccetera. Senza affrontare il grande problema della
debolezza dei paesi democratici in questo periodo, bisogna dire che il sistema
elettorale israeliano proporzionale puro, con una soglia d’accesso molto bassa,
liste decise dai partiti, una forte frammentazione etnica e religiosa oltre che
politica, una personalizzazione altrettanto forte della politica, la politicizzazione
del sistema investigativo e giudiziario fa sì che lo stato ebraico sia
particolarmente a rischio e rende molto difficile la costituzione di governi
compatti ed efficienti. Comunque finisca questa nuova difficile prova della
democrazia israeliana, è chiaro che una riforma istituzionale è necessaria. Ma
bisogna aggiungere una cosa fondamentale: la democrazia israeliana è autentica,
segue le regole della legge e la volontà dell’elettorato, conta le teste e non
le taglia. Meglio troppe elezioni, come in questi anni, che nessuna, come
avviene in quasi tutti i paesi del Medio Oriente (e purtroppo della maggior
parte del mondo).