Le memorie del tempo infernale delle persecuzioni degli ebrei le testimonianze della incredulità, della sofferenza, della ribellione, della resa, hanno toni e ritmi molto diversi, e tutti quanti alla fine disegnano un puzzle che ci consegna la preziosa storia che l’oblio e l’antisemitismo rischiano sempre di distruggere, quella della Shoah.
Purtroppo siamo giunti al duro momento della fine della testimonianza diretta, della parola narrata dai protagonisti sopravvissuti guardando l’interlocutore negli occhi, ed è quindi utilissimo, anzi, indispensabile che, di fronte all’oblio o al negazionismo, i figli e i nipoti si assumano la responsabilità di consegnare al mondo l’inconcepibile, l’incomprensibile.
Lo fa qui una nipote e figlia, la storica Luisa Levi D’Ancona Modena, studiosa laureata a Oxford ma di origine fiorentina che vive a Gerusalemme con la sua famiglia, nel volume intitolato “La nostra vita con Ezio e ricordi di guerra” edito da Firenze University Press. Un lavoro accademico di conservazione e ricerca, certo, ma anche una storia delicata e spiritosa di vita vissuta, un esempio di prosa, di memorialistica femminile, di tono e aggettivazione toscana molto gradevole. Luisa, la nipote di Ezio Levi D’Ancona e figlia del suo ultimo nato, Viviano e di Sara, ha composto il volume mettendo insieme, con una variegata collezione di lettere, foto, documenti reperiti in tutto il mondo, due scritti di memorie della nonna Flora Aghib Levi D’Ancona, un signora delicata ma colta e decisa, tutta poesia e determinazione, innamorata del marito e della famiglia, che si decise per richiesta dei figli a raccontare la vita di Ezio, l’epopea culturale, la separazione e l’esilio, la persecuzione della famiglia. Il primo scritto ricostruisce la vita del marito Ezio Levi D’Ancona, l’infanzia privilegiata e carica di sogni d’arte del bambino nato nel 1884 nell’ex ghetto di Mantova, sempre in movimento col padre ingegnere delle ferrovie, cresciuto fra Mantova, Bozzolo, Cremona, fra zii e cugini in un mondo di alta borghesia ebraica semintegrata nelle “magnifiche città lombarde dove ogni piccola città poteva allora vantare il su cenacolo letterario, la sua corte, il suo mondo elegante, la sua tradizione poetica”. Così scrive Ezio in uno dei suoi saggi sul Medioevo, ed è un ritratto del mondo ideale in cui Ezio vorrebbe condurre la sua vita dopo il sogno di diventare pittore mentre invece la sorte gli riserva la filologia romanza, il suo campo.
(Ezio e Viviano 1939. L’ultima foto di Ezio con suo figlio Viviano nato nel 1937)
Ma lo spazio intellettuale e estetico di quella esistenza era già esemplificato dal cannocchiale puntato verso i dipinti del soffitto ligneo della sala dei Baroni del Palazzo Steri di Palermo. Qui nell’iconografia delle 24 travi c’è un misto di Bibbia e di letteratura romanza, di draghi e di profeti: è la sua scelta all’Università e nella vita, il bagaglio che si porta dietro quando il fascismo lo metterà in fuga verso gli Stati Uniti. Il suo ebraismo è questo, una nuvola di tradizione, di cultura artistica e accademica ravvivata dalla tradizione millenaria, vissuta come un privilegio intellettuale e persino estetico. L’avventura culturale del filologo romanzo si imbellisce nel matrimonio con Flora Arghib, fanciulla ebrea di livorno, molto benestante e raffinata, a sua volta letterata, intellettuale, donna coraggiosa. La vita che condurranno e che anche Flora porta in dote è ricca di relazioni internazionali cui la coppia si rivolge appena capisce che è il tempo della fuga per trovare rifugio, pane, consolazione. Ci vuole molto tempo, molto sforzo per capire cosa stia succedendo, (e questo chi scrive lo sa bene dalla parte fiorentina della sua famiglia) a uscire dal bozzolo della villa in Casentino o di quella sul mare all’Ardenza di Livorno coi bambini piccini, dalla cattedra all’Accademia navale di Livorno, da quella di Filologia Romanza di Napoli, dai bei viaggi alle università spagnole sempre accoglienti, fino alle leggi razziali nel 1938.
L’agenda sociale della famiglia sarà tanto ampia da comprendere in Italia Benedetto Croce e Pirandello, in America da esuli, persino Fermi e Einstein. Finchè Ezio insegnava in Spagna anche Garcia Lorca. e di cui leggiamo una lieta lettera. E’ una prensile crisalide che avvolge la famiglia quella del fascismo negato, come capitò a non pochi ebrei italiani prima di capire che gli stava accdendo, proprio a loro, il razzismo antisemita: Ezio non prende la tessera ma cercherà di seguitare di navigare; sa restare amico di Giovanni Gentile, dirige la sezione di lingue romanze dell’Enciclopedia Treccani; non rifiuta il giuramento del 1931, continua a lavorare, scriverà una patetica lettera a Gentile per chiedere la discriminazione nel 1938; chiede a Flora di distanziarsi dalla famiglia Rosselli, buoni amici, per poi tuttavia ricucire in America .E’ ormai il 1939 e una conferenza a New Orleans è lo spunto di fuga. In America la grande mente autrice di centinaia di pubblicazioni, autorità mondiale di filologia romanza, diventa un professore in caccia di un posto di lavoro, e mentre sa benissimo una decina di lingue, il suo inglese difetta. Per fortuna Flora, che comincerà anche lei la sua carriera accademica come professoressa di letteratura italiana dopo la morte prematura di Ezio nel 1941, lo aiuta a preparare le lezioni in inglese. La coppia abituata alla vita della borghesia intellettuale, deve arrendersi alla legge della necessità, sempre però restando fedele alla sua ispirazione intellettuale.. Esiste ormai, ci dice Luisa Levi D’Ancona, un portale speciale organizzato dall’Università di Firenze per raccontare la fuga di tanta intelligenza italiana, ebraica e non: questo ha segnato per sempre la storia del Paese, depauperato di migliaia di persone ricche di creatività e intelligenza. Chi vuole può già trovare 400 voci su “Intellettuali in fuga”.
(matrimonio di Flora Aghib e Ezio Levi, Firenze, 1916)
La coppia oltre a vivere il tradimento italiano con tutto il cortese, coltissimo mondo che circondava la coppia, è improvvisamente scaraventata nel gorgo della caccia n razzista nazifascista, coll’eco sordo, in lontananza, delle persecuzioni ai figli in Italia, delle cacce e delle fughe. Le vite dei ragazzi sfuggono continuamente per caso alla morte in mille episodi spaventosi, aiutati da qualche santo coraggioso ex contadino, da qualche coraggioso ex professore dei ragazzi. Flora e Ezio, dapprima a New Orleans dove sono approdati con la scusa del convegno mentre sta per scoppiare la guerra, non riuscirono infatti a portare con sè o a riunirsi poi coi loro figli, che non poterono espatriare bloccati dalla guerra e dalle persecuzioni. Viviano, padre di Luisa, aveva due anni, e rivedrà la sua mamma dopo nel 1946, a 9 anni. La sofferenza di Flora si accompagna il funambolico sopravvivere che diventa primario quando spezzato dalla delusione, il marito muore. Flora scrivendo le memorie dell’esilio, della diaspora, della fame, della fuga dei figli, e anche dell’eliminazione del resto della famiglia Levi, tutta trucidata con le deportazioni, ha unito la sua voce a quella delle memorie che per fortuna fanno uscire dall’ombra le vittime della Shoah, e fra loro tante donne coraggiose. Accompagnare queste memorie con una documentazione minuziosa e precisa come ha fatto Luisa Levi, è prezioso, perchè è la prova dell’orribile verità storica lampante: quella della responsabilità dell’Italia, del suo governo e anche dei suoi cittadini verso gli ebrei, che ne erano parte integrante e preziosa. Spesso si rimpiccolisce la responsabilità italiana verso l’antisemitismo. Brava gente, gli italiani. Alcuni.