Quando ancora in molte città italiane gli ebrei erano chiusi nei ghetti, vi fu un artista che riuscì a ricavarsi una buona fama tra i suoi contemporanei. Quello di Samuele Jesi – nato a Correggio nel 1788 – poteva essere un destino già segnato dalle sue vicende personali se non avesse incontrato nel suo cammino più di qualcuno che credette nelle sue capacità. Infatti, con la morte del padre le condizioni della famiglia non gli avrebbero consentito di studiare e dedicarsi all’arte. Era stata la madre che per prima lo aveva sostenuto (vendendo alcuni arredi) che gli consentirono di recarsi alla Reale Accademia di Modena, ma quando mancò anche lei dovette tornare a casa per mantenere le sorelle.
Jesi però aveva un talento naturale per il disegno e il desiderio di apprendere le tecniche dell’incisione. È così che la locale Università israelitica – e più tardi la Municipalità – destinò alcuni fondi che gli permisero di spostarsi fino a Milano per perfezionarsi e diventare uno degli incisori più apprezzati del suo tempo. Per l’esattezza fu un incisore di traduzione, cioè tradusse a bulino dipinti del passato; non un’operazione meccanica ma, entrando in sintonia con l’opera, riuscì a cogliere i colori e le forme solo con il chiaroscuro. Riuscì così a riprodurre le opere di Raffello, Correggio e molti altri maestri solo attraverso il segno e farle arrivare a molti lontani che altrimenti non avrebbero potuto vedere questi straordinari capolavori.