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    La giornalista di Al Jazeera uccisa in un conflitto a fuoco a Jenin – Quel che è successo spiegato in breve

    Che cos’è successo

     

    Mercoledì scorso, Shireen  Abu Akleh, giornalista di Al Jazeera cinquantenne, è stata uccisa in un conflitto a fuoco mentre seguiva una missione delle forze di difesa israeliane nel campo profughi di Jenin in Samariae. Si tratta di una roccaforte della Jihad Islamica, da cui sono partiti molti degli attacchi che hanno provocato l’uccisione di 19 cittadini israeliani nelle ultime settimane.  Le forze di sicurezza di Israele sono impegnate a bloccare l’ondata terrorista e ad arrestare i colpevoli quando riescono a  fuggire e dunque hanno la necessità di entrare anche nei luoghi più difficili come questi. Sono operazioni ad alto rischio perché i militari sono attesi e subiscono agguati con le armi dalle case e dai vicoli. Ne nascono vere e proprie battaglie, in cui si sparano migliaia di proiettili. Seguendo una di queste operazioni che si è svolta mercoledì all’alba, con l’obiettivo dell’arresto di un terrorista,  Abu Akleh si è trovata sulla linea di fuoco e ha ricevuto un proiettile nella testa che l’ha uccisa.

     

    Le accuse a Israele

     

    Immediatamente è partita una campagna di stampa per accusare Israele della responsabilità di questa morte. L’hanno fatto inizialmente Al Jazeera e l’Autorità Palestinese, seguite da Hamas e quindi da tutte le fonti di propaganda palestinista. L’accusa è di aver ucciso deliberatamente la giornalista, sparandole apposta nella testa. L’esercito israeliano ha espresso rincrescimento per la morte e  ha subito smentito di aver sparato su Abu Akleh.

     

    Al Jazeera

     

    La televisione del Qatar ha incolpato Israele per la morte di Abu Akleh, twittando: “La nostra collega è stata uccisa dall’esercito israeliano mentre copriva l’attacco al campo profughi di Jenin”. In una dichiarazione pubblicata sul canale, ha invitato la comunità internazionale a “condannare e ritenere responsabili le forze di occupazione israeliane per aver preso di mira e ucciso deliberatamente la nostra collega”. La terminologia usata (“Attacco”, “uccisa deliberatamente”) corrisponde all’ostilità che l’emittente ha da sempre per Israele. Vale la pena di ricordare che nel 2017 Bibi Netanyahu, dopo una serie di incitamenti al terrorismo, aveva ordinato la chiusura della sede di Gerusalemme. Al Jazeera è stata anche espulsa dall’Egitto e parzialmente proibita in Arabia Saudita perché considerata non un canale giornalistico, ma la voce propagandistica dei Fratelli Musulmani.

     

    L’inchiesta

     

    Israele  ha chiesto all’Autorità Palestinese di condurre un’inchiesta comune sulla morte. L’AP ha respinto l’inchiesta comune e ha anche rifiutato di lasciar esaminare il proiettile causa della morte, il cui esame avrebbe potuto rilevare il tipo di arma usata e forse avrebbe potuto permettere di risalire a chi aveva sparato (anche se bisogna dire che i terroristi palestinesi usano abbastanza spesso armi rubate dai depositi israeliani). Mohamed Abbas ha anche annunciato una mossa propagandistica: la denuncia di Israele alla corte dell’Aja sui crimini di guerra, anche se un caso del genere non rientra certo nelle competenze della corte.

     

    Quel che è uscito finora

     

    Nel frattempo però è stato pubblicato l’esame dell’autopsia della giornalista condotto alla An Najah University di Nablus, dove si dice che non è possibile stabilire chi abbia ucciso la giornalista e che la sola cosa sicura è che il colpo non è stato sparato da vicino: se si considera che vengono da medici palestinesi, queste due affermazioni non sono certo favorevoli alla propaganda dell’AP. Vi sono dei filmati in rete che mostrano un terrorista di Jenin esultare per aver colpito un soldato israeliano. Fra i militari però non vi sono perdite o feriti. Che quella raffica sparata a casaccio abbia colpito la giornalista? E’ quel che un’inchiesta israeliana si propone di indagare.

     

    Le conseguenze internazionali

     

    La campagna contro Israele, che aveva perso qualche slancio in seguito all’ondata terrorista, ha ripreso forza. Gli Stati Uniti hanno chiesto spiegazioni, l’Europa ha condannato Israele, la stampa araba anche. E però sono accuse che mancano di ogni credibilità. Israele è fiero di avere una stampa  libera e combattiva e non impedisce affatto ai giornalisti di fare il loro mestiere, né li minaccia con le armi. E’ evidente che questo incidente danneggia  Israele, che non aveva nessun interesse ad eliminare una giornalista che certo non gli era favorevole, ma che non era certo in questo diversa dalla maggior parte dei reporter internazionali, quasi sempre schierati dalla parte palestinese. 

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