Paolo Alatri (Roma, 17/02/1918, Roma, 30/10/1995) è stato un rappresentante tipico delle famiglie borghesi ebraiche di Roma, emerse nel periodo successivo la fine dell’Era del ghetto, precocemente emancipate, in tutti i sensi, rispetto ad altre per le quali il retaggio della reclusione plurisecolare pesava ancora fortemente in termini di mobilità sociale, del raggiungimento di nuove posizioni economiche e dei processi di crescita culturale.
Il nome imposto dai familiari, Giacomo e Valentina Segre, decisamente non ebraico, così come quello del fratello, Andrea, indica un distacco culturale dalla matrice ebraica, anche se va detto che Paolo, Andrea e i loro genitori sono presenti nel registro della Dichiarazione di appartenenza alla “razza ebraica” voluta dal regime fascista. In ogni caso, quello del cambio dall’onomastica biblica a quella “laica” fu un fenomeno tipico della Roma ebraica tra Otto e Novecento, diffuso anche in Italia e nell’Europa contemporanea.
Tuttavia, ci sono rilevatori più significativi che mostrano come Paolo Alatri fosse un membro della borghesia ebraica colta, molto integrata all’interno della società civile coeva. Infatti, concluse gli studi liceali al “Torquato Tasso” di Roma (fra i suoi compagni di scuola vi era Bruno Zevi) e nel 1940 si laureò in Lettere e Filosofia, (le leggi antiebraiche consentivano di terminare gli studi a chi li avesse intrapresi prima della loro emanazione).
A causa dell’occupazione nazista di Roma (8 settembre 1943 – 4 giugno 1944), entrò nelle fila del Partito d’Azione nel quale militerà fino al suo scioglimento occorso nel 1947. Si trattava di una compagine fondata nel 1942 che aveva come obiettivi le elezioni a suffragio universale, la libertà di stampa, la nazionalizzazione dei grandi complessi industriali, la riforma agraria, la libertà sindacale e soprattutto la laicità dello Stato, ovvero la separazione fra Stato e Chiesa. Infine, va sottolineato che era una formazione che oggi definiremmo europeista.
Nel 1948 Alatri si iscrisse al Partito Comunista per uscirne nel 1980, dopo essere stato deputato eletto nelle sue liste, come atto di solidarietà nei confronti del fisico moscovita Andrej Dmitrievič Sacharov (Mosca, 21 maggio 1921 – Mosca, 14 dicembre 1989), perseguitato da regime sovietico per il suo impegno in favore delle libertà civili.
Molto importante fu la sua attività giornalistica svolta, tra l’altro, per l’“Italia Libera”, la “Repubblica Italiana”, “Il Paese”, “l’Unità”, il “Corriere della sera” e “Rinascita”.
È fondamentale rilevare che fu uno storico dell’Europa contemporanea, uno studioso delle idee di grandissima levatura ed insegnò negli Atenei di Palermo, Messina e Perugia. Specialista del periodo illuminista e del Risorgimento fu, inoltre, capace di indagare con grandissima lucidità l’ascesa e lo sviluppo del fascismo.
Questa straordinaria vicenda di un grande uomo ci restituisce l’ennesimo tassello di un’Italia (e di un’Europa) resistente al nazifascismo, anche grazie al contributo di tanti ebrei che si identificarono con le società e le istituzioni nazionali per poi essere traditi dalle stesse.
Con il contributo di Gabriella Yael Franzone e Lilli Spizzichino
A cura dell’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma