Dal 7 aprile è uscito in tutte librerie il nuovo saggio, edito dalla casa editrice Giuntina, di Rav Alberto Moshe Somekh, dal titolo “L’albero Capovolto”. Somekh è tra le più autorevoli e interessanti voci della Rabbanut italiana e dona ai lettori un testo profondo che nasce dall’esigenza di spiegare la “Torah orale” al pubblico. Ricco di temi di attualità e spunti di riflessione “L’albero capovolto”, che prende il titolo da un midrash, come spiegato a Shalom a Somekh stesso, si apre con un’interessante prefazione del Rabbino Capo di Roma, Riccardo Di Segni, che introduce la scelta stilistica dell’autore e l’importanza della spiegazione dei temi trattati nel saggio. Otto capitoli ricchi di riflessioni su temi madre dell’ebraismo organizzati attraverso una serie di citazioni della Torah e commenti Rabbinici spiegati dall’autore per gettare luce sull’attualità dell’ebraismo. “Ho voluto fornire una visione contemporanea della tradizione, cercando di dimostrare che la tradizione ebraica non è un passato da riesumare, ma è una possibile una chiave di lettura della realtà odierna” sottolinea Rav Alberto Moshe Somekh che Shalom ha intervistato.
Com’è nata l’idea di questo libro?
Tutto è nato da un’idea che avevo già da tempo, e che è al centro della mia attività: mi sono reso conto che ciò che manca molto nel panorama dell’ebraismo italiano è una conoscenza base della Torah orale. Gli ebrei italiani conoscono la Torah scritta nei suoi temi fondamentali, ma spesso la leggono con il prisma della cultura non ebraica. Ho realizzato che c’era bisogno di fornire un testo base in italiano, nel quale si potesse sintetizzare quali fossero i fondamenti della Torah orale, partendo dall’idea, molto moderna di “progetto.” Noi, come popolo ebraico, siamo inseriti nel contesto del “progetto” di D-o che ha creato il mondo, secondo l’ottica dei nostri maestri. Un progetto, che, come spiego nel libro, coinvolge tutta l’umanità, sebbene in termini differenti. Il popolo ebraico è depositario della rivelazione del senso più completo del termine. Ho voluto mettere in luce che questa rivelazione solo in parte corrisponde alla Torah scritta, mentre ha la sua base essenzialmente nella Torah orale. Per conoscere profondamente la rivelazione è necessario approfondire la Mishnà e il Talmud. Passare attraverso di essi come testi ed elementi caratterizzanti della cultura e dell’identità ebraica. Sono sicuro che non si possa definire l’ebraismo all’infuori di queste fonti.
La situazione di chiusura, dovuta alla pandemia, l’ha spinto a mettere per iscritto le sue
riflessioni?
Ho condensato questo concetto in una piccola poesia in ebraico con cui comincia il volume. Certamente l’esperienza del primo Lockdown e della pandemia in generale hanno avuto un ruolo fondamentale in queste mie riflessioni. Ho capito che era un momento propizio per studiare ma anche per insegnare e mettersi a scrivere. Io sono dell’idea che non basti la comunicazione orale, ma che i rabbini debbano invece lasciare traccia scritta dei loro insegnamenti. Questo aspetto in Italia spesso viene trascurato, così ho deciso di scrivere questo libro e oggi sono felice che questo testo sia uscito in libreria.
Come viene detto nella prefazione di Rav Di Segni, c’è un crescente interesse per la cultura ebraica da parte del mondo esterno.
Effettivamente c’è un notevole interesse da parte del pubblico non ebraico nei confronti delle fonti dell’ebraismo. Verosimilmente perché si rinviene nell’ebraismo una delle radici della stessa civiltà occidentale. L’ebraismo rappresenta qualcosa di autentico. L’ebraismo è quindi lo strumento, concepito come importante da parte di molti non ebrei, per recuperare delle radici perdute e dei valori che si stanno annacquando. A fondamento di tutto e della loro religione, questo oggi viene spesso riconosciuto. Quanto sia una moda passeggera non possiamo dirlo, ci auguriamo però possa dare frutti duraturi. Tutto questo interesse non deve però lasciarci tranquilli sulla decadenza dell’antisemitismo che continua ad esistere. Per combatterlo non abbiamo altri strumenti se non la nostra cultura.
Dunque, la cultura può essere un antidoto alla luce delle nuove minacce di antisemitismo?
L’antisemitismo è frutto dell’irrazionalità. Come dimostrare
tutto questo? Semplice: un giorno gli ebrei vengono accusati di essersi inventati la Shoah, e il giorno successivo gli stessi ebrei vengono tacciati di emulare i nazisti. Questa è la più chiara evidenza che l’antisemitismo ha una matrice irrazionale. Penso sia illusorio combattere un fenomeno irrazionale come l’antisemitismo attraverso l’uso della ragione. D’altra parte, siamo esseri razionali e non abbiamo altre armi, non ci restano alternative.
Come mai ha scelto questo titolo?
L’immagine dell’albero capovolto è tratta da un Midrash basato su un verso del capitolo 20 di Devarim (Deuteronomio) che dice a sua volta che “l’uomo è come l’albero del campo”. I Maestri spiegano che c’è però una differenza fra l’uomo e l’albero: più esattamente l’uomo è come un albero capovolto, con le radici rivolte verso il cielo e non verso la terra. Il nostro nutrimento viene dall’alto. In questa maniera l’uomo si trova davanti ad un paradosso: vive per terra ma le sue fonti d’ispirazione vengono dal cielo. Questo significa che l’uomo deve saper tradurre le sue fonti d’ispirazione. Ciò costituisce un monito per tutti noi, perché non sempre ne siamo capaci. Spesso abusiamo della nostra intelligenza, senza avvederci che qualche volta dobbiamo saper capovolgere, come in una camera oscura, le informazioni che ci provengono dall’alto in maniera di adattarle al nostro essere terreno. Questa è una risposta che avevo dato anni fa ad un gruppo di ragazzi che mi domandavano come sia stata possibile la Shoah. Ho spiegato loro che a volte, anche la più intelligente delle creature, non è in grado di tradurre le immagini che le giungono dall’alto.