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    Un Limmud in memoria di Giacomo Mino Moscati

    Ad un anno dalla scomparsa di
    Giacomo Moscati, conosciuto da tutti come “zio Mino”, venuto a mancare il 12
    aprile 2021, il Tempio Beith Michael ha ospitato un Limmud in memoria di un
    personaggio che è stato tra i testimoni dei maggiori eventi che hanno coinvolto
    la Comunità Ebraica di Roma nell’ultimo secolo, dalle persecuzioni alla ripresa
    dopo la Guerra fino all’attentato terroristico al Tempio Maggiore del 9 ottobre
    1982.

    Figlio dell’allora Shammash del
    Tempio Maggiore, è stato proprio Mino a raccontare che durante il periodo della
    persecuzione nazifascista, suo padre nascose gli oggetti del Tempio all’interno
    del Mikvé, il bagno rituale, affinché i tedeschi non li portassero via.

    Il Limmud si è svolto in un
    momento particolare: nella stessa serata, infatti, cadeva l’anniversario della
    scomparsa di Rossella Della Rocca e la data ebraica dell’eccidio delle Fosse
    Ardeatine, in cui decine di ebrei sono stati uccisi, come ha ricordato il
    Rabbino Capo Rav Riccardo Di Segni nel suo messaggio di saluto.

    “Se vogliamo collegare questa data
    alle Fosse Ardeatine, non posso non pensare che siamo usciti vincitori rispetto
    a quella pagina della storia che abbiamo vissuto, perché siamo nati noi nipoti –
    ha aggiunto il Vice Presidente CER Ruben Della Rocca – È un’occasione triste,
    ma dobbiamo gioire nel vedere qui presenti nipoti e pronipoti. Oggi Israele è
    di nuovo vittima di attacchi, semplicemente per odio. Speriamo che le anime di
    queste persone intercedano per noi contro coloro che ci odiano”.

    Una vita piena quella vissuta da
    Mino, che nonostante le persecuzioni, la Guerra, l’attentato, non ha mai perso
    la voglia di vivere e di lottare. È sempre stato legato al Tempio Maggiore e al
    Beith Michael, in cui teneva a dare la Berachà a figli e nipoti e dove spesso
    si fermava per raccontare le sue storie. “Qui mio padre amava raccontare eventi
    del passato, quando mio nonno faceva lo Shammash al Tempio Maggiore e durante
    la Guerra fece nascondere i morim in via Margutta e nascose gli oggetti sacri
    nel Mikvé, perché era sicuro che i nazisti non si sarebbero lasciati sfuggire
    l’occasione di portarli via – ha ricordato il figlio di Mino, Gino Moscati – È
    sempre stato legato al Tempio Grande, ma anche al Beith Michael si sentiva a
    casa e dava la berachà a tutti. Ogni giorno nelle preghiere diciamo ‘Leshaná
    abaha be Yerushalaim’ e penso che mio padre abbia adempiuto ai doveri di un
    ebreo: avere figli e nipoti, con un figlio che ha fatto l’Alyiah, quindi è tornato
    in Israele”.

    Tra le tante storie che hanno
    caratterizzato la vita di Mino, spicca proprio il suo legame con i templi e con
    le festività; un ricordo in particolare accomuna i familiari e gli amici
    intervenuti al Limmud: il canto Yafutzu,
    ormai divenuto simbolico per la nostra Comunità e intonato a Simchat Torah e a
    Kippur prima del suono dello Shofar, che Mino amava intonare in Tevà.

    “Nel suo viaggio verso la terra
    d’Israele, il popolo ebraico ha percorso 42 tappe, che corrispondono a uno dei
    nomi di D. che ha 42 lettere. Ogni viaggio che il popolo ebraico ha fatto,
    corrisponde ad una delle lettere e quindi alle caratteristiche di D. Allo
    stesso modo, le nostre vite sono l’insieme delle tappe che percorriamo – ha spiegato
    Fabio Perugia nella sua Derashà – Questo percorso ha una tappa finale che è
    l’Olam Abbà, il mondo futuro, così  come
    la settimana ha come tappa finale lo Shabbat. La nostra vita è un percorso di
    tappe. Nonno Mino ha fatto un percorso di Teruot e Tehiot, come i suoni dello
    Shofar, in cui ha dovuto lottare: ha costruito una famiglia, ha visto i figli
    crescere e uno di loro fare l’aliyah. Oggi siamo sicuri che è nell’Olam abbà”.

    “Nei momenti difficili c’è sempre
    la possibilità di trovare delle risorse per intraprendere nuovi viaggi. Questi
    insegnamenti che ci danno i maestri racchiudono il senso di questa serata – ha aggiunto
    Semy Pavoncello – Sono gli insegnamenti che ci ha dato la generazione prima di
    noi: quella di Mino che ha ricostruito la vita di una comunità che era stata
    ferita in modo pazzesco. Solo chi ha conosciuto il padre di Mino può davvero
    capire il significato che hanno quei canti come Yafutzu e dobbiamo essere pieni
    di orgoglio e gratitudine se ripensiamo alla fierezza di quella Tevà piena di
    persone che stavano ricostruendo la loro vita”.

    Tra le persone fortemente legate a
    Mino c’era Emanuele Pacifici, padre di Riccardo, con cui Mino ha condiviso
    tanti momenti e superato molte difficoltà dopo la Guerra. “Zio Mino per me era
    parte della famiglia. Ha avvicinato mio padre al Tempio di Shabbat. Non lo ha
    soltanto riportato alla vita della Comunità, ma lo ha anche aiutato ad entrare
    nel mondo del lavoro; entrambi venivano da un periodo di fame ed entrambi sono
    stati feriti durante l’attentato – ha ricordato Riccardo Pacifici – Quando abbiamo
    aperto il Beth Michael, mio padre e zio Mino hanno iniziato a venire qua,
    perché gli abbiamo dimostrato che stavamo facendo qualcosa di importante. Ha
    continuato a venire anche quando non ce la faceva a camminare. Voleva
    dimostrare la sua indipendenza nel mettersi il talled e pregare. Aspettava i
    momenti salienti come L’Hallel, Yafutzu e voleva salire in Tevà per cantare. Anche
    quando non riusciva più a venire al tempio voleva ascoltare lo shofar, che Rav
    Colombo ha suonato a casa per lui. Dobbiamo essergli grati. Se abbiamo fatto
    questo tempio è grazie alle azioni dei nostri genitori e ad una catena di
    azioni che ci hanno portato ad essere qui”.

    Dopo la Derashà finale di Rav Colombo e il Kaddish, il Limmud si è
    concluso con la Seudat Mitzvà, il pasto preparato dal catering “La cucina di
    Noemi”.

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