Il 27 gennaio è stato celebrato per la ventiduesima volta in Italia il Giorno della memoria, che ricorda “la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”. La legge che la istituisce fu infatti approvata dal Parlamento nel luglio del 2000, poco dopo l’appello dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), l’organizzazione internazionale che ha prodotto anche la definizione di antisemitismo che è sempre più largamente adottata a livello internazionale e riconosce ufficialmente il legame fra odio per gli ebrei e rifiuto di riconoscere la loro autodeterminazione nazionale e quindi la legittimità dello Stato di Israele.
Il Giorno della memoria è spesso criticato e non a torto. Nelle celebrazioni spesso si mescolano insieme la Shoah e altri genocidi e disastri – che certamente meritano di essere ricordati, ma ciascuno a suo modo, comprendendone la ragioni e le specificità, senza affondare tutte le memorie in una generica deplorazione della cattiveria umana. Spesso poi la Shoah viene presentata come il frutto della “follia” di Hitler e della “banale” obbedienza dei funzionari tedeschi, ignorandone il forte legame con l’odio per gli ebrei diffuso nella tradizione cristiana e anche nell’illuminismo e nel socialismo e tralasciando la larghissima complicità dei “volonterosi carnefici” non solo in Germania, ma anche in tanti Paesi europei, inclusa l’Italia. Talvolta si arriva persino a rovesciare vergognosamente il suo senso, usando questa occasione per accusare gli israeliani di comportarsi “come i nazisti” perché si difendono dal terrorismo palestinista. Infine, spesso si dubita, anche da parte ebraica, della sua efficacia, si diffida della dimensione formale delle celebrazioni, ci si dice stanchi di un ricordo obbligatorio, che ricorre a una data fissa.
Tuttavia, nonostante tutto questo, sarebbe sbagliato pensare di fare a meno di questa ricorrenza. Essa fu istituita molto tardi, cinquantacinque anni dopo la caduta del nazismo, proprio nella convinzione che ci fosse bisogno di ricordare l’orrore dello sterminio industriale degli ebrei, promosso ed esercitato da quasi tutti gli stati europei. I testimoni ormai erano per lo più scomparsi e oggi quasi non ne restano più, l’accettazione della verità storica del genocidio era insidiata dalla propaganda negazionista, l’antisemitismo aveva largo spazio, innanzitutto sotto la maschera dell’antisionismo. Oggi purtroppo è tornato a circolare largamente e tranquillamente anche nella sua versione più chiara e trasparente.
Il Giorno della memoria è servito a limitare questi danni, portando almeno una volta l’anno all’attenzione di tutti il pericolo dell’antisemitismo e il suo esito genocida. In particolare è importante che di queste cose si parli nelle scuole, che le giovani generazioni sappiano quel che è stata la Shoah e siano educate a rifiutarne giustificazioni e tentativi di riprenderne i contenuti. Certo, bisogna cercare di usare bene questa occasione, rifiutarne l’uso deformato, le generalizzazioni che la svuotano e le deformazioni che la rovesciano. Ma questo sta a noi, che l’abbiamo ricevuta in eredità e dobbiamo preservarla.
In libreria Mai più! Usi e abusi del Giorno della Memoria (Sonda, 2022, Pagine 144) di Ugo Volli