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    Negazionismo: tante facce, una sola minaccia

    La presentazione del libro di Donatella Di Cesare (“Se Auschwitz è nulla”, Bollati Boringhieri) si è svolta la sera del 24 gennaio in un luogo ormai storico, il cinema Farnese a Campo de’ Fiori. Il libro della professoressa DI Cesare è un aggiornamento di una sua precedente pubblicazione, dedicata al negazionismo, argomento caro alla scrittrice che ha dovuto combatterlo non solo negli scritti ma anche nelle aule giudiziarie da cui è uscita vincitrice.

     

    Su questo tema del negazionismo, nel corso della presentazione del libro, ho voluto sottolineare tre aspetti di preoccupante attualità che riassumo qui brevemente.

     

    Il primo è che il negazionismo è fenomeno trasversale. Non riguarda solo la Shoah e l’antisemitismo. È un atteggiamento di distorsione e di misinterpretazione di fatti che riguarda questioni spesso molto importanti e decisive per la vita umana. A suo modo era negazionista nei Promessi Sposi il patetico don Ferrante che in virtù della sua filosofia negava l’esistenza della peste, e ne rimase vittima. In campo scientifico, per affermare qualcosa di corretto c’è il sistema della pubblicazione in riviste accreditate che controllano spietatamente la qualità dei manoscritti presentati e li accettano solo se corrispondono a determinati requisiti. Ma questo non toglie che chiunque possa pubblicare altrove quello che vuole e in epoca di facilità mediatica di comunicazione ogni idea può essere diffusa e accettata. Non conta la sua attendibilità e la sua qualità, ma il suo impatto sulle persone. In questo ambito si colloca il negazionismo, che può essere scientifico o storico, e che si caratterizza e si differenzia dal semplice errore di interpretazione per una perversa manipolazione dei dati, per gli effetti dannosi di tutti i tipi che può determinare, e che può uccidere. La sottile linea che deve esistere tra libertà di pensiero, libertà di affermare corbellerie e libertà di procurare danni con la sola parola o lo scritto è ampiamente superata.

     

    Il secondo punto è che il negazionismo va a braccetto con l’oblio. Il negazionismo è uno strumento di odio, funzionale alla discolpa dei carnefici; se i fatti non sono avvenuti non c’è carnefice e non c’è vittima. Ma se non si ricorda, non c’è bisogno di negare, e solo se si ricorda bisogna negare. E la memoria purtroppo è terribilmente selettiva, e quando è di massa è condizionata dalla scelta politica.  Proprio uscendo dal cinema Farnese ci si affaccia su una piazza storica carica di memorie; al centro il momento a Giordano Bruno che in quella piazza fu arso vivo, e al cui ricordo venne eretto un monumento a segno della lotta contro l’intolleranza della Chiesa nei confronti del libero pensiero. Ma pochi metri davanti a quel monumento e pochi decenni prima del rogo di Giordano Bruno c’era stato il rogo del Talmud, nel Rosh hashanà del 1553, a triste conferma del fatto che prima si comincia con i libri e poi si prosegue con le persone. Non ci fu nessuna petizione popolare per un monumento o una targa a ricordo del Talmud bruciato (ora c’è una targa). Gli stessi discendenti delle vittime del rogo di libri, gli ebrei, prima di tutto quelli romani, non ne sentivano la necessità, o non ne apprezzavano l’opportunità, o si erano dimenticati i fatti e quali fossero stati i libri bruciati, realizzando perfettamente il desiderio dei loro persecutori. Si combatte il negazionismo ricordando. Se pensiamo a quante cose dovremmo ricordare della storia di questo Paese, e che sono volutamente cancellate, vengono i brividi. Un esempio tra i tanti, quando si parla delle deportazioni e dei lager nazisti, poco si sa dei loro tristi progenitori, i misfatti della Libia delle campagne fasciste contro i ribelli.

     

    Il terzo punto è che il negazionismo non è solo quello che nega i fatti, ma ne esistono anche forme apparentemente attenuate e subdole, ma non meno dannose: è la negazione della identità delle persone coinvolte nei fatti, che siano le vittime o i loro persecutori. Se non si spiega chi siano, si cancellano le motivazioni. A pochi metri dal cinema Farnese, a via dei Giubbonari c’era la sede storica della sezione del PCI di Regola Campitelli (oggi di un altro partito). Erano loro negli anni ’50 e ’60, a mantenere il ricordo del rastrellamento del 16 ottobre del 1943, parlando del terribile destino dei cittadini romani catturati. Un grande merito in quel periodo a mantenere la memoria, tra i pochi se non gli unici, e a ricordare che le vittime fossero cittadini romani; solo che c’era una omissione… non si diceva che fossero ebrei. L’altro Sabato negli Stati Uniti vi è stato un attacco a una sinagoga riformata in cui una persona ha tenuto sotto sequestro per 11 ore un gruppo di persone, che poi alla fine sono riuscite a lberarsi. Il sequestratore ucciso nella sparatoria finale aveva nel corso della giornata fatto diverse dichiarazioni antisemite e antiisraeliane; la detenuta per terrorismo di cui chiedeva la liberazione a sua volta aveva fatto pesanti affermazioni antisemite e quando era stata processata aveva chiesto che ai suoi giurati venisse fatto l’esame del DNA per escluderne l’ascendenza ebraica (come se questo avesse senso se non nella mente malata di un razzista). Ebbene questo attacco di chiara matrice antisemita è stato presentato dall’FBI e da agenzie di stampa come l’AP come del tutto privo di connotazioni antiebraiche, come se il sequestratore avesse scelto a caso un luogo di riunione qualsiasi. C’è un disegno perverso che evita di chiamare le cose per quello che sono, perché  chi sceglie si è già schierato da una parte e se la parte a lui simpatica compie qualche eccesso si fa finta che non esista. Lo stesso motivo per cui ogni volta che c’è qualche accoltellatore in giro per l’Europa è sempre uno squilibrato; cosa gli passi per la testa, e quali siano i motivi del suo “folle” gesto e della scelta delle vittime non viene detto. Negazionismo dell’identità, dell’ideologia  e simili. Anche su questo bisogna vigilare.

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