«Era la prima volta che arrivavo a
Roma, avevo 14 anni. Settimio sperava di ricevere una bella notizia su suo padre
David e suo fratello Angelo. Arrivammo a via dei Giubbonari 30. Fece un fischio
per farsi sentire dalla famiglia. Non risposero al primo, ma al terzo. Poi le
finestre si sono spalancate: ‘’Settimio, Settimio!’’»
Con voce commossa
il sopravvissuto ad Auschwitz-Birkenau Sami Modiano racconta l’arrivo in Italia
dal campo di sterminio insieme a Settimio Limentani, il cui nome è stato inciso
davanti alla porta dove arrivarono tanti anni fa. Lì, infatti, sono state
apposte due pietre d’inciampo, in memoria sua e del padre David, che invece non
riuscì a tornare. Una cerimonia breve ma profonda, alla presenza di parenti,
amici e istituzioni comunitarie, per ricordare una storia di grande sofferenza,
ma anche di un emozionante ritorno a casa.
L’8 maggio
1944, quando gli americani erano già alle porte di Roma, grazie ad una spiata
Settimio fu catturato dai tedeschi, insieme a suo fratello Angelo e ad un loro
amico, Angelo Tagliacozzo. Si erano nascosti sui tetti, ma, sotto la minaccia
della deportazione della madre e delle sorelle più piccole, scelsero di
consegnarsi. Furono portati prima al Commissariato di Piazza Farnese, poi a
Regina Coeli e infine al campo di concentramento di Fossoli, dove partì il
treno per Auschwitz. Prima dell’arrivo dei russi, Settimio si ammalò e venne
lasciato in infermeria dai nazisti, convinti che sarebbe morto. Invece si
riprese e sopravvisse fino all’arrivo delle truppe sovietiche, che aiutò per 8
mesi nello scavare buche utili per difendersi sul campo di battaglia. Col tempo
capì, però, che gli ebrei italiani non erano ben visti e, temendo la
deportazione in Siberia, decise di fuggire, portando con sé delle cartine
geografiche. A piedi da Cracovia raggiunse il confine italiano insieme a Sami
Modiano. Da lì un treno che dopo qualche giorno li portò a Roma. Una volta
arrivato in via dei Giubbonari 30, accolto dalla sua famiglia, il giovane
romano apprese della morte del padre, assassinato alle Fosse Ardeatine.
David
riuscì a scampare al rastrellamento del 16 ottobre 1943 per caso: uscito la
mattina presto per comprare le sigarette a Monte Savello, vide le camionette
dei nazisti e intuì il pericolo, mettendo in salvo la famiglia. Da quel giorno,
però, la situazione per gli ebrei che erano riusciti a fuggire si aggravò
ancora di più. Bisognava nascondersi, ma anche continuare a vivere, procacciarsi
del cibo, andare a lavorare con dei nomi falsi. Così faceva lui, peraltro con
relativa tranquillità, avendo tanti amici nel quartiere. Il 16 marzo, però, fu
individuato e catturato da alcuni conoscenti, che lo portarono a via Tasso. In
seguito all’attentato partigiano di via Rasella, per rappresaglia (10 italiani
per ogni soldato tedesco ucciso) fu mandato a morire alle Fosse.
Non
sopravvissero neanche suo fratello e il suo amico. Uno perse la vita ad
Auschwitz, l’altro a Dachau. In loro memoria sono state installate due pietre
d’inciampo nel 2011. Accanto ora ci sono anche quelle di David e Settimio. Sono
state due delle decine di stolpersteine
posate in questi giorni a Roma in diversi quartieri. Un segno semplice ma
concreto, presente sulle strade di molte città europee per ricordare le persone
trucidate nei campi di sterminio o comunque vittime della barbarie nazista.
«Voglio ringraziare tutti coloro che
hanno fatto in modo di ricordare queste persone – ha affermato Sami Modiano –
Grazie a Dio, Settimio ha lasciato una bella famiglia, la vita continua. Che le
nuove generazioni facciano in modo che quello che è successo a noi non accada
mai più».