Vienna 1988. Un professore universitario si suicida, gettandosi dalla finestra del suo appartamento. Un gesto inspiegabile che nel primo atto viene raccontato dalle due domestiche, la signora Zittel e Herta mentre mettono a posto le cose del defunto. Ma Joseph Schuster non è un viennese qualsiasi, è un ebreo tornato vent’anni prima da Oxford, il rifugio durante la Shoah e del dopoguerra, mentre la piazza dove decide di togliersi la vita è la famosa Heldenplatz, piazza degli Eroi, dove il 15 marzo del 1938 Adolf Hitler proclama l’Anschluss, il referendum sull’annessione, acclamato da 100mila persone. Inizia così l’ultimo dramma di Thomas Bernhard, messo in scena da Roberto Andò, fino a domenica 23 gennaio al teatro Argentina di Roma, e interpretato tra gli altri da Renato Carpentieri, Imma Villa, Betti Pedrazzi, Silvia Ajelli.
Pian piano attraverso i ricordi degli altri, facciamo conoscenza con il professor Schuster, un uomo preciso, a tratti insopportabile, con tre figli e una moglie che non vuole abitare in quel luogo perché, benché siano passati molti anni, sente o crede di sentire ancora le urla dei nazisti e di Hitler. Si apprende come il ritorno della coppia degli anni ’60 da Oxford sia stata una scelta infelice e di come nei giorni precedenti al suicidio alle figlie del professore abbiano sputato in faccia per strada in quanto ebree. La denuncia di Bernhard è una critica spietata all’antisemitismo che serpeggia in Austria anche dopo tanti anni. Così il professore “non poteva ascoltare Beethoven senza pensare a Norimberga, né poteva immaginare che gli austriaci potessero essere più antisemiti e pieni d’odio dopo la guerra”. Una sorta di testamento per lo scrittore che morirà di lì a poco, da sempre poco amato in patria perché accusato di esterofilia.
Ma il 1988, in cui è ambientato il dramma ed è stato anche scritto, è un anno particolare. Presidente della repubblica è Kurt Waldheim accusato dal centro Wiesenthal di essere colpevole di crimini nazisti, politico di spicco è Jorg Heider, fondatore del partito della Libertà Austriaco che strizza l’occhio al Terzo Reich e che successivamente si dovrà dimettere da governatore della Carinzia per aver elogiato pubblicamente la politica socioeconomica di Adolf Hitler. È anche l’anno prima del crollo della cortina di ferro che fotografa un’Europa divisa staticamente in due blocchi. Questo è ciò che vede Bernhard e che denuncia. E che fa dire al fratello del professor Schuster, un magnifico Renato Carpentieri, “se potessero gli austriaci anche oggi ci manderebbero tutti nelle camere a gas”.
Ma Piazza degli Eroi è anche il dramma interiore di una donna, la Signora Schuster, che non riesce a dimenticare l’orrore, le grida, il momento di gloria di Adolf Hitler e l’inizio della fine degli ebrei austriaci. Urla ossessive che riemergono nella sua testa qualora guarda la piazza dove si affaccia il suo appartamento che aveva implorato il marito di non acquistare e di vendere il prima possibile. Perché se è successo una volta, questo il senso del dramma di Bernhard, può succedere ancora.
Vorremmo affermare che Bernhard avesse torto. Ma purtroppo gli episodi di antisemitismo in Italia e in Europa preoccupano sempre di più. A ridosso della Giornata della Memoria, si polemizza anche su cosa differenzia la Shoah dagli altri genocidi. Ebbene è Bernhard a ricordarcelo. La Shoah è il punto più oscuro raggiunto dall’umanità, ma si dimentica spesso che è avvenuta qui, in questo continente che si considerava civile. Frau Schuster non riesce a vivere in un appartamento che si affaccia su Piazza degli Eroi. Noi non possiamo dimenticare cosa accadde nell’antico quartiere ebraico il 16 ottobre del ’43 o ad Auschwitz il 27 gennaio del ‘45. È qui, davanti al Tevere dove passeggiamo ogni giorno, che persone innocenti sono state prelevate per essere sterminate lontano da casa ma pur sempre in Europa, in quella che oggi è la casa comune di tutti noi e che dobbiamo proteggere dai rigurgiti antisemiti.