Ci fu un caso in cui un atto di “resistenza” culturale contro idee antisemite passò non solo attraverso i contenuti, ma anche nella scelta di un carattere tipografico. Nella Francia tra le due guerre, come avvenne anche in tanti altri stati europei, gli attacchi antisemiti ebbero come bersaglio alcuni galleristi, artisti e le loro opere. Le idee nazionaliste sulla pittura, spinte da una crisi economica diffusa che investì anche il mercato dell’arte, non risparmiarono pittori e scultori che prima di quel momento avevano reso Parigi una città multiculturale. Dall’inizio del novecento erano arrivati nella capitale francese artisti e intellettuali dal resto d’Europa che contribuirono a una vivacità intellettuale che aveva pochi eguali. Specialmente riuniti intorno alla così detta École de Paris (Scuola di Parigi) erano accumunati da linguaggi diversi. Questo gruppo variegato – e spesso squattrinato – vantava una buona partecipazione ebraica: c’era chi arrivava dagli shtetel dell’Est come Marc Chagall e Chaim Soutine, o chi dall’Italia come Amedeo Modigliani.
Ebbene, alla fine degli anni venti, una breve esperienza editoriale cercò di diffondere e sostenere le opere di questi artisti per contrastare la cattiva informazione. La piccola casa editrice “Le triangle”, guidata dal caporedattore Michel Kiveliovitch, realizzò una serie di opuscoli monografici dedicati agli “Artistes Juif” (Artisti ebrei). Curioso è che per rivendicare questa appartenenza e dare un messaggio forte si diedero alle stampe libretti tradotti in tre lingue. Infatti, parallelamente al francese e l’inglese, lingue commerciali e di ampia diffusione, si affiancò l’Yiddish, dialetto scritto in ebraico, che riportava alle origini e all’appartenenza di molti a un’Europa apparentemente lontana.