La pandemia ha cambiato completamente il nostro stile di vita, anche nella sua componente culturale. Un fenomeno che si è già verificato anche durante le epidemie nel passato, come emerge dai documenti dell’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma, quando il distanziamento imponeva le chiusure dei luoghi pubblici, incluse le sinagoghe. Le preghiere venivano così recitate dai rabbini affacciati alle finestre delle proprie abitazioni. Oggi come allora, in casi come questo che stiamo vivendo, si usa comporre o riprendere delle preghiere che evochino la salvezza e la guarigione. Lo spiega a Shalom Rav Jacov Di Segni, Direttore dell’Ufficio Rabbinico di Roma.
“Abbiamo deciso di introdurre queste tefillòt quando è divenuto evidente che la pandemia stesse mietendo numerose vittime, e che non si trattasse di una malattia passeggera. L’idea è partita dall’Italia e poi è stata pubblicizzata da vari rabbini in Israele. Personalmente ne avevo proposte alcune nel tempio che frequento, quello spagnolo, che poi si sono diffuse anche altrove”.
Tra le preghiere aggiunte, alcuni versi di Avinu Malkènu, che solitamente si recita nei giorni penitenziali tra Rosh Ha Shanà e Kippur, quando viene scritto il destino delle persone. La sua origine risale ad un antico periodo di siccità. “Si racconta che nella terra di Israele non pioveva da tempo: Rabbi Akivà salì sulla tevà (l’altare) e ne recitò tre versi. Poi scese la pioggia”.
Dunque una preghiera molto forte, di cui sono state riprese tre parti. “La prima chiede al Signore «[…] manda una guarigione completa ai malati del tuo popolo». È riferita al “tuo popolo”, però ovviamente ci si riferisce a tutta l’umanità. Nella seconda si dice «[…] frena e interrompi l’epidemia dalla tua eredità», dove per eredità ci si può riferire o al popolo d’Israele, che appartiene al Signore, o alla terra d’Israele. La terza afferma «[…] interrompi la pandemia e la fame». Questo verso è stato molto sentito, perché in tanti hanno perso il lavoro e si sono trovati in difficoltà anche solo per sostenere le spese di prima necessità”.
Anche nella Roma ebraica del passato si riscontrano simili preghiere, alcune delle quali risalgono all’800. Finora si è preferito utilizzare tefillòt classiche note a tutti, ma in altri Paesi ne sono state composte alcune proprio contro il Covid. “Un’altra Tefillà che ho sentito da Rav Lau, il padre del Rabbino Capo d’Israele, diceva di pregare sia per la guarigione dei malati che per il mantenimento dell’integrità dei sani” conclude Rav Jacov Di Segni.
La preghiera, secondo alcuni, è la cura dell’anima. Uno strumento che permette alle persone di avere un contatto diretto col divino, nella speranza che tutto, un giorno, possa finalmente dirigersi verso una “nuova” normalità.